A FUTURA MEMORIA, IL NOSTRO “MODELLO” DI OSPEDALE PROVINCIALE

Ormai tutto si confonde e la sanità ospedaliera del Vco procede a tappe forzate verso l’abisso. Prima che tutto si compia, due-parole-due su quello che sarebbe stato – e mai sarà – l’ospedale unico plurisede.

La vicenda dello ospedale di Verbossola (discutibile neologismo coniato dall’assessore regionale Monferino dopo la memorabile cena al “Maestoso”) con l’autunno rischia di avvitarsi in una crisi confusa e inestricabile. Prima che tutto si consumi in uno dei numerosi cupio dissolvi che stanno caratterizzando questa fase della vita politica provinciale, drammaticamente consegnata ai mandatari locali dell’assatanato che dichiara di fare “il Presidente del Consiglio a tempo perso” e che “la patonza deve girare”, conviene dire – una volta per tutte e in pochissime righe – qual è il modello di ospedale per il quale il Centrosinistra ha lavorato a livello regionale, provinciale e comunale nel quadriennio 2005-2009.

Il nostro ospedale unico plurisede non si articola per Reparti/Divisioni, ma per Aree Dipartimentali (Chirurgica, Medica, Materno-Infantile, Emergenza). Ciò significa che non si ragiona per Reparti collocati in questo o in quello dei due ospedali “storici” di Verbania e Domo, ma per prestazioni e servizi erogati da équipe specialistiche dipartimentali in entrambe le strutture. A mo’ di esempio, un intervento chirurgico all’addome, alla vescica o all’occhio deve poter essere eseguito in entrambi gli ospedali da un pool di operatori sanitari specializzati, che al termine dell’operazione consegna il paziente alla convalescenza ospedaliera in base al livello di intensità delle cure erogate. Questo modello si applica a gran parte delle prestazioni sanitarie specialistiche proprie di un ospedale provinciale (fascia B), siano esse chirurgiche o mediche, a degenza ordinaria o meno (day/week surgery). Se invece oggi al “Castelli” e a “San Biagio” esistono nei fatti ancora due Chirurgie o due Medicine o (peggio ancora, vista la presenza del COQ) due Ortopedie, vuol dire che il progetto di ospedale unico plurisede s’è fermato in mezzo al guado e rischia di scomparire, con il risultato di far risorgere (e subito morire) i due ospedaletti che abbiamo conosciuto sino a metà dello scorso decennio. E, con i due “ospedaletti”, i masochistici e anacronistici scontri territoriali tra Ossola e Verbano.

Il “nostro” modello di ospedale unico plurisede non ha certo la pretesa di assicurare sempre e tutte le prestazioni in entrambi gli ospedali. Vi sono infatti vincoli insuperabili che riguardano la complessità delle attrezzature da utilizzare o la soglia minima di sicurezza da garantire che impongono l’unicità fisica della sede di erogazione della prestazione. Ad esempio, i trattamenti di radioterapia oncologica possono essere fruiti solo a Verbania, quelli di trombolisi solo nella Stroke Unit del “San Biagio”, quelli di assistenza al parto nell’unico servizio di Maternità che la nostra zona può permettersi in relazione alle sue caratteristiche demografiche.

Si conclude qui questo volutamente breve intervento. Lo consegniamo “a futura memoria”, perché resti traccia del modello di sanità ospedaliera che nel 2005 abbiamo iniziato a costruire e che ci sarebbe piaciuto portare a termine, nell’interesse di tutto il Vco. Era il “modello” Bresso-Artesio-Ravaioli-Zanotti. Nel 2009-2010 il popolo sovrano ha consegnato le leve del potere alla filiera Cota-Ferrero-Nobili-Zacchera: quel “modello” è stato incoscientemente abbandonato, senza che nessuno dei demolitori abbia fatto almeno lo sforzo di comprenderlo.

E da un anno, al posto di quel “modello” solo confusione.

Questa voce è stata pubblicata in Sanità e Politiche Sociali. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento