ANCORA CEMENTO E GRANDE DISTRIBUZIONE NEL CUORE DELLA CITTA’ di Claudio ZANOTTI

Una previsione urbanistica nata negli anni del destro-leghismo rischia di distruggere irrimediabilmente una delle poche, grandi aree non edificate interne alla città, a poche decine di metri dai vasti edifici inutilizzati del compendio ex Acetati. Ma la questione dell’area ex Hillebrand pone con urgenza il problema di una nuova politica urbanistica che arresti la distruzione di terreni vergini e con il metodo della “concertazione forte” proceda alla riqualificazione dei grandi cimiteri urbanistico-edilizi che in trent’anni si sono moltiplicati a Verbania.

Sta scivolando via come come acqua sulla roccia la questione dell’apertura in città di un nuovo, grande centro commerciale inserito nel circuito della GDO, che dovrebbe insediarsi sull’asse di viale Azari nella grande area della ditta floricola di Piero Hillebrand. Di questo nuovo complesso commerciale si parla da tempo nello stretto giro degli addetti ai lavori (amministratori comunali, funzionari, tecnici…), ma curiosamente la vicenda ha mantenuto un andamento  carsico, emergendo solo occasionalmente e fugacemente sulla ribalta del dibattito politico-amministrativo verbanese, già di per sé poco affollata. Eppure le ragioni di un approfondimento ragionato di questo evento di certo non mancano, sia per il concretissimo rischio di un’irreversibile compromissione di una delle poche aree “vergini” interne al tessuto urbano, sia per la paradossale (e quasi provocatoria) presenza di fronte all’area già Hillebrand dell’imponente compendio dell’ex Aceati, ove certo non mancano strutture compatibili oggi inutilizzate e delle quali si auspica una rigenerazione, sia per l’imponente accumulo nel raggio di un centinaio di metri di ben tre grandi complessi di GDO.

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La grande area floricola Hillebrand ha cambiato destinazione urbanistica nel 2011, quando la Giunta destro-leghista approvò la Variante 18 al Piano Regolatore. Tre i contenuti di quell’improvvida variante, improvvida come pressoché tutte le scelte di pianificazione compiute nei tre anni e mezzo di governo della Destra verbanese, ispirate alla deteriore pratica della cosiddetta “urbanistica concertata”: la trasformazione dell’ex cinema Sociale di Pallanza in condominio (oggi, dopo nove anni, si sta realizzando una struttura turistico-ricettiva) e il cambio della destinazione urbanistica del rudere del parcheggio di via Buonarroti da terziario-direzionale a residenziale (oggi il rudere è sempre più  rudere) e dell’area Hillebrand da floricola a terziario-commerciale. Il Pd, allora forza politica di minoranza, diede battaglia su tutte e tre le aree (cfr. qui, qui e qui), proponendo in Consiglio Comunale per l’area di viale Azari questa soluzione: “La zona…..risulta già gravata dalla presenza di funzioni terziarie e commerciali, al punto che anche nel recente passato l’Amministrazione aveva motivatamente escluso variazioni urbanistiche con destinazioni terziario-commerciali. Inoltre, la conservazione di area florovivaistica era stata sollecitata dalla proprietà, evidenziando il valore rappresentato dal patrimonio vegetale esistente e il Consiglio Comunale aveva condiviso, individuando l’opportunità di uno spazio libero nel contesto urbanistico di viale Azari. L’Amministrazione Comunale con la Variante 18 ha invece previsto la possibilità di eliminare l’area floricola e di realizzare edifici ad uso terziario-commerciale. Il Partito Democratico propone di mantenere invariata l’attuale destinazione, riservandosi in futuro una variazione per servizi pubblici solo nel caso in cui maturasse l’ipotesi di concentrare in quell’area le funzioni distrettuali e territoriali dell’Asl e del Consorzio Servizi Sociali.”

Venuta rapidamente meno la discutibilissima circostanza che aveva innescato l’improvvido provvedimento “concertato”, la previsione urbanistica è rimasta per quasi un decennio inattuata. Avrebbe certamente potuto e dovuto essere modificata dopo l’uscita di scena della Giunta che l’aveva imposta: non è certo mancato il tempo per farlo, ma la profonda soluzione di continuità dell’area politica di centrosinistra realizzatasi con le elezioni comunali del 2014 (cfr. qui) ha cancellato una parte non piccola della memoria di ciò che in passato s’è fatto e delle giuste battaglie che si sono combattute. Dunque, forte di una previsione mai attuata ma pienamente operante, l’impresa commerciale ha avviato le procedure per realizzare un nuovo, grande centro commerciale, di cui sono evidenti le implicazioni ambientali, socioeconomiche e viabilistiche. Non interessa in questa sede esaminare puntualmente le obiezioni già espresse nel 2011, più sopra richiamate e ancora attuali; neppure interessa approfondire l’iter della pratica, per capire se e quali margini tecnico-amministrativi esistono per evitare che una previsione sbagliata diventi realtà o porre in evidenza l’irriducibile contraddizione rappresentata dalla distruzione di un’area verde nel cuore della città, quando a qualche centinaio di metri esistono terreni e fabbricati (quelli ex Acetati) da dieci anni inutilizzati e in fase di accelerato degrado.

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La domanda è più radicale e di portata generale, poiché investe l’idea di città che (non) abbiamo. Si è letto in questi giorni che è intenzione dell’Amministrazione Comunale procedere al sostanziale rifacimento del Piano Regolatore Comunale. E’ certamente una sfida alla quale porre mano, tenuto conto che l’attuale PRG è stato approvato in via definitiva nel gennaio 2006 (adottato nel luglio 2003), ma sconta un’elaborazione e una visione complessiva della città che risale all’inizio degli anni ’90. La crisi socioeconomica iniziata nel 2008 e mai superata, la profonda mutazione demografica e socio-anagrafica dell’ultimo decennio e – last but not least – la profonde ripercussioni negative innescate dalla breve ma distruttiva esperienza di governo destro-leghista sfociata nel commissariamento dell’Amministrazione reclamano un ripensamento completo della città, di cui la pianificazione urbanistica è un passaggio costitutivo e imprescindibile. E il nodo urbanistico più delicato e complesso resta quello che già si palesava a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, ovvero la crescente proliferazione all’interno della città di aree produttive dismesse e già avviate a un accelerato degrado ambientale ed edilizio. Nel corso degli ultimi quindici anni il processo si è ulteriormente aggravato, estendendosi dalle aree industriali a quelle floricole, artigianali e ora anche commerciali, come è possibile verificare anche solo attraversando virtualmente la città con le mappe di Google.

Il PRG vigente ha potuto dare risposte solo parziali e limitate (leggi qui i numeri e le ragioni) e il suo ripensamento deve muovere da un interrogativo di fondo: può permettersi la nostra città, che ben conosce sulla sua pelle gli effetti delle crisi ambientale, ecologica, demografica e sanitaria, che si sono nel corso dell’ultimo decennio rapidamente aggravate e sommate a quella socioeconomica, di sacrificare suoli vergini (e dunque non edificati, permeabili, naturali) mentre vastissime aree urbane già compromesse da processi edificatori risultano di fatto abbandonate, inutilizzate e spesso intollerabilmente degradate dal punto di vista edilizio e ambientale? La domanda è retorica e la risposta è “no”.

Un “no” netto e sonoro che vale non solo per i terreni vergini delle tre aree a maggior pregio ambientale (Piano Grande, Monterosso, asta del San Bernardino) e per la collina di Intra, sui quali neppure un metro quadro di cemento dovrebbe più colare, ma anche per le non poche aree agricole (interstiziali o meno) e per quelle inedificate sopravvissute all’interno del tessuto urbano, delle quali dovrebbe essere garantita la preservazione e incentivata la rinaturalizzazione. L’area già Hillebrand è una di queste. A fronte di questo rigoroso regime di preservazione, che dovrebbe essere messo in sicurezza molto rapidamente come primo atto normativo del nuovo PRG, l’Amministrazione dovrebbe sottoporre tutte le aree edificate/compromesse/degradate delle quali si considera irrinunciabile la trasformazione a un regime di concertazione urbanistica “forte”, avviando cioè una stagione di “contrattazione” tanto trasparente quanto puntuale con i proprietari usando le due speculari “leve” a disposizione dell’ente pubblico, quella dell’incentivazione (volumetrica, di destinazione, di attuazione…) e quella della prescrizione anche sanzionatoria (per incuria, per inquinamento dei suoli, per incolumità, per igiene pubblica…), attraverso le quali superare inerzie, pigrizie e furbizie e indurre il recupero per trasformazione dei contesti degradati. “Concertazione forte” significa caricare l’Amministrazione di una triplice responsabilità: fissare, area per area, gli obiettivi di risanamento all’interno di un disegno cittadino coerente e riconoscibile; articolare la graduale attuazione mediante un calendario di priorità; portare  la controparte privata al tavolo del confronto e della contrattazione lavorando con le leve dell’incentivazione e della prescrizione per concertare un reciprocamente soddisfacente e non elusivo percorso di riqualificazione e valorizzazione. Insomma, l’esatto contrario della concertazione “debole” applicata nella breve e non rimpianta stagione del destro-leghismo, nella quale la parte pubblica assumeva una posizione subordinata e passiva rispetto a quella trainante e rivendicativa della parte privata, tutta protesa a perseguire la massimizzazione dei vantaggi legati agli interventi edilizi e senza riguardi per le ricadute negative in termini di pianificazione territoriale di un processo di progressiva e ingovernabile parcellizzazione urbanistica.

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In chiusura è però necessario spendere ancora una parola sull’affaire dell’area floricola di viale Azari in predicato di divenire struttura GDO. In mancanza di informazioni e di luoghi di dibattito, non è possibile sapere a che punto sia giunta la pratica urbanistico e come siano state affrontate le problematiche edilizie, viabilistiche e – non ultime – finanziarie (oneri di urbanizzazione, opere a scomputo e opere di compensazione e di mitigazione). Anche se fossero in uno stato di avanzata elaborazione, nulla vieta che l’opinione pubblica, le forze politiche, gli organi di decentramento e le associazioni ambientaliste facciano conoscere le loro valutazioni e – auspicabilmente – la loro contrarietà. Solo qualche anno fa una intensa e riuscita mobilitazione di cittadini e associazioni ha bloccato la realizzazione lungo il corso del San Bernardino all’altezza di Trobaso di imponenti e invasive opere per lo sfruttamento idroelettrico (sbarramento e convogliamento delle acque e costruzione di centralina di produzione) del torrente.

Il confronto dialettico e la rappresentazione di differenti posizioni costituiscono sempre un arricchimento della democrazia.

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4 risposte a ANCORA CEMENTO E GRANDE DISTRIBUZIONE NEL CUORE DELLA CITTA’ di Claudio ZANOTTI

  1. Cristina scrive:

    Errori su errori a Verbania: non è già abbastanza “satura” la città di GDO che ce ne vuole un altra…. E poi parlano di “apri bottega” e sostegno al commercio. Tralasciamo il fatto che il commercio si sta evolvendo molto più velocemente di quanto la politica possa correre ma qui siamo all’assurdo. Una tale concentrazione provocherà ulteriore traffico in una zona già altamente trafficata. La “scusa” sarà qualche nuovo posto di lavoro. Poi quando chiuderanno ulteriori negozi (già piegati tanto sia dalla GDO che dal commercio online) e la città sarà un deserto commerciale oltre che avere meno occupati di prima, qualcuno si accorgerà che forse bisognava prendere un’altra strada. In città serie la GDO stai in periferia, in modo che il piccolo commercio possa lavorare, qui facciamo il contrario.

  2. piero vallenzasca scrive:

    Le affermazioni di principi da un lato e le pratiche concrete dall’altro. Gli uni si scontrano con le altre senza che le incoerenze, evidenti, abbiano un qualche peso. Al più la colpa, come in questo caso, viene riferita a chi c’era prima, quasi che chi venga dopo non abbia avuto la possibilità di fare qualche cosa di diverso. Eppure, al di là delle affermazioni dei principi, la coerenza dei comportamenti amministrativi attuali, assolutamente incoerenti con quei principi, è li ed è evidente. Il Piano Grande è il terreno da liberare per permetterne la conquista, non l’ultima frontiera libera da difendere; le aree urbane verdi un’ opportunità da lasciare al mercato, non un valore da offrire alla cittadinanza; il decadimento delle aree produttive un problema da rinviare ; l’area ex Acetati uno sforzo mediatico senza un’attuale prospettiva; una nuova urbanistica prima no, assolutamente, poi, adesso, sì, ma poi vedremo se sarà un modo per finalmente calare i principi, trasformandoli in pratiche o una maniera per rendere ancora tutto più liquido e incomprensibile quello che già oggi è confuso.

  3. Tiziano auguadro scrive:

    …il PD forza di minoranza diede battaglia (vedi qui-qui qui nel testo),ma
    oggi la Sindaca(P.D.?) chiede un nuovo PRG per togliere i “paletti”allineandosi al presidente della regione che propone una legge con gli stessi obbiettivi. Il PD si dia una mossa e torni a fare il suo dovere.
    al concetto espresso da Cirio

  4. MARZIO scrive:

    Come non condividere queste riflessioni, sembra che gli amministratori abbiano smesso di amare questa città e diano il peggio per mortificarla senza una visione futura. Possibile che non si possa fermare questo scempio??

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