“DI COSA VIVRANNO I NOSTRI FIGLI?” 2

Si torna a parlare di “conurbazione”, di “programmazione d’area” e di “pianificazione strategica”, come ha ben ricordato qualche giorno fa su queste pagine virtuali Roberto Negroni. In previsione dell’incontro organizzato sul tema dal PD verbanese (lunedì 2 febbraio, Villa Olimpia) può essere utile ragionare su un’analoga esperienza realizzata nove anni fa dai Comuni del Verbano e del Cusio. Qui di seguito si propone una parte del documento che fu alla base dei lavori dei “tavoli” tematici di pianificazione e delle iniziative politico-amministrative che ne seguirono (i Programmi Territoriali del 2007-2009, la costituzione delle società di gestione del ciclo idrico, le politiche sui rifiuti, la previsione delll’ospedale unico plurisede..). Molti dei temi d’allora mantengono intatta la loro attualità.

“…… La pianificazione strategica è un processo complesso e articolato che deve però basarsi su pochi, chiari e largamente condivisi presupposti, riconoscibili con facilità e semplicità dall’opinione pubblica e – in ultima analisi – dai cittadini. Senza una consapevolezza diffusa, il cammino della pianificazione strategica rischia di essere un’operazione ad elevato tasso di sofisticazione destinata a una ristretta casta di iniziati (politici e amministratori locali, sociologi, architetti e urbanisti, burocrazia funzionariale delle associazioni di categorie e produttive..). Eppure i nodi intorno ai quali da tempo ci dibattiamo sono proponibili in forma di interrogativi semplici e profondi. Vediamone alcuni.

Per quanto tempo ancora il nostro tessuto socio-economico potrà contare sullo straordinario apporto di reddito derivante dalle decine di migliaia di pensioni erogate a ex dipendenti di un sistema industriale ormai scomparso come realtà produttiva e sopravvissuto nel suo provvidenziale prolungamento previdenziale? Nel medio-lungo periodo, può bastare a compensare la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro nel settore industriale avvenuta nell’arco di un ventennio l’apporto economico dei redditi derivanti da un terziario pubblico tendenzialmente ipertrofico alimentato dai grandi comparti dei servizi pubblici (sanità, scuola, enti locali territoriali) e dalla moltiplicazione di uffici generata dall’istituzione della nuova provincia? Quale contributo è in grado di offrire – oggi e soprattutto domani – un turismo che fa perno su una ricettività alberghiera numericamente circoscritta in strutture datate dal punto di vista edilizio e dei servizi, imprenditorialmente statica, fortemente stagionalizzata, costosa, fondata su soggiorni molto brevi, affidata al flusso assicurato da un sistema tradizionale e più che maturo di operatori turistici? Quale dinamismo può esprimere un settore commerciale che, ad esclusione della grande distribuzione, risente di un approccio difensivistico e talvolta vittimistico e che consumatori con sempre meno soldi da spendere percepiscono come eccessivamente caro? E’ solo teorico il rischio che la grande distribuzione in via di progressivo e massiccio insediamento sull’asse Fondotoce-Gravellona possa generare distorsioni e squilibri né superficiali né transeunti sotto il profilo territoriale, urbanistico e viabilistico? Davvero va considerata irrimediabilmente chiusa la stagione manifatturiera e industriale del Vco, che nell’arco di due secoli ha saputo più volte (il tessile, la meccanica, l’energia, la chimica, il casalingo..) reinterpretare una vocazione produttiva radicata nell’operosità della nostra gente e sostenuta da risorse naturali e infrastrutturali di grande valore?

Noi crediamo che questi interrogativi siano fondati e che essi – nella percezione sintetica e semplificata dell’opinione pubblica – possano ulteriormente ridursi ad uno, semplice, stringente e umanissimo: “di che cosa vivranno i nostri figli, nel caso in cui volessero restare a lavorare in queste terre?” Allora la sfida della pianificazione strategica dismette i panni del sofisticato e astratto esercizio “di scuola” e diventa una sfida che interpella non soltanto le nostre intelligenze, ma anche – e forse prima ancora – il sentimento di responsabilità che naturalmente avvertiamo nei confronti di una generazione che già esiste nelle nostre comunità ed alla quale sappiamo di dover consegnare una terra rivelatasi a noi come madre generosa. Proviamo allora a immaginare cosa potrebbe essere del nostro territorio, se i profondi rivolgimenti che si annunciano fossero dal noi passivamente subiti. E’ difficile immaginare qualcosa di diverso da una gradevole “dependance” per la villeggiatura e/o la “residenza decentrata” a servizio della grande ed espansiva conurbazione industriale, produttiva e metropolitana che – auspice Malpensa e l’Alta Velocità – già ora si estende senza soluzione di continuità tra Milano e Novara. Si può convenire che esistano destini peggiori. Ma questo approdo sancirebbe la progressiva dissoluzione della nostra identità socio-economica e territoriale e della peculiarità che tra Ottocento e Novecento ha costituito il tratto distintivo e originale di una comunità capace come poche altre di svolgere la funzione di “cerniera” territoriale non soltanto non illanguidendo la propria fisionomia, ma addirittura trovando in questa dimensione ragioni ulteriori di caratterizzazione e di specificità. Si tratta allora di riconoscere la radicale soluzione di continuità che i mutamenti macrostrutturali impongono alla nostra storia comunitaria e attrezzarci per essere anche in questo frangente protagonisti e artefici del nostro destino. Ciò significa prepararci per traghettare e reinterpretare in un futuro ormai imminente il lascito migliore e non transeunte della nostra tradizione civile, sociale ed economica.

La grande conurbazione metropolitana della fascia pedemontana tra Piemonte e Lombardia è – insieme all’Europa centrosettentrionale di cui siamo la porta – il nostro destino e la nostra storica opportunità. E se la riaffermazione e l’attualizzazione della nostra plurisecolare vocazione ad essere terra di passaggio tra le pianure meridionali e l’Europa continentale dipende oggi da una scelta netta e irreversibile della politica nazionale per la grande infrastruttura trasportistica del Sempione, la valorizzazione della nostra originalità – si potrebbe ora dire “eccellenza” – dipende da scelte che in larga misura possono maturare e compiersi dentro il nostro territorio. Alla grande conurbazione pedemontana noi possiamo offrire qualcosa di più di un ambiente naturale unico e straordinario da colonizzare disordinatamente senza abitarlo. L’eccellenza del nostro sistema scolastico e formativo, la qualità dei nostri servizi pubblici (l’infanzia, l’assistenza sociale, la sicurezza..), la sfida (possiamo ancora vincerla) per una sanità anche ospedaliera di elevata qualità e a misura d’uomo, la persistenza di una tradizione industriale che accetta la sfida della riconversione, la presenza di un terziario pubblico attento ed efficiente, l’accessibilità di un territorio che in pochi chilometri fonde lago, collina, “wilderness”, alta montagna, la dotazione di strutture sportive e ricreative, l’esistenza di un patrimonio residenziale rurale e montano che attende di essere recuperato e valorizzato con intelligente oculatezza e non con rapinosa ingordigia, la presenza di luoghi e di strutture destinati alla ricerca tecnologica; questa è oggi la ricchezza che la nostra terra può offrire. La crisi che attraversiamo non ci consegnerà alla desertificazione, ma a una nuova fase della nostra storia entro la quale mettere a frutto quanto – e non è poco – il lavoro, la passione, l’intelligenza, la fatica delle generazioni che ci hanno preceduto e la nostra stessa generazione hanno solidamente edificato e che non sarà una crisi – per quanto profonda e non congiunturale – a dissolvere.

Pianificazione strategica è, semplicemente, questo. Riconoscersi come comunità civile e come sistema socio-economico; leggere insieme la nostra storia e individuarne i punti di forze e quelli di debolezza; pensarsi all’interno di un processo tumultuoso di cambiamento al quale non deve mancare l’originale contributo che possiamo offrire; convenire sugli obiettivi di medio-lungo periodo; pianificare le azioni per perseguirle con coerenza ed efficacia. Non sarà la sola classe politica a fare pianificazione strategica; non saranno le categorie economiche e produttive; non saranno gli amministratori locali; non saranno le associazioni. Farà pianificazione strategica una comunità intera, interpellata dall’umanissima domanda: “di cosa vivranno i nostri figli?”………”

Verbania, 18 febbraio 2006 – Claudio Zanotti

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Qui si può leggere il documento integrale.

E’ disponibile anche il Piano Strategico 2007-documento di lavoro

Questo è il Patto Sindaci Area dei Laghi, sottoscritto nel febbraio 2006 come base politico-amministrativa del processo di pianificazione strategica

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