LA POLITICA IN TEMPO DI CRISI di Felice IRACA’

Mi capita spesso, in questi mesi di grave recessione economica, di pensare e ripensare a quale sia, o forse e meglio a quale possa e debba essere, il ruolo della politica oggi nelle nostre comunità.

 

Mi trovo dunque a pensare, con insistenza e ostinazione, a quale debba essere il suo vero ruolo, la sua missione ancestrale, il suo stesso “senso” di esistere ed essere regista e attrice della governance d’un territorio, in relazione ai piccoli grandi problemi che, moltissimi cittadini ormai, si trovano a dover subire/affrontare quotidianamente. In questo circolo vizioso, tortuoso e claustrofobico di domande e perché, mi trovo spesso a concludere che l’attuale degenerazione economica sia stata prodotta, fors’anche fortemente, dalla degenerazione della politica, in uno stretto e letale legame di causa-effetto.

Volendo fare una semplice metafora, possiamo dire che, per moltissimi anni, si è fatto “il passo più lungo della gamba”: paghiamo oggi scelte azzardate, spesso sovradimensionate e non adeguatamente commisurate alle reali esigenze del cittadino; paghiamo anni di spreco, mancate razionalizzazioni della spesa pubblica, cattive gestioni e amministrazioni di servizi e società di servizi; paghiamo anni di ruberie che, quasi ogni giorno, occupano le prime pagine dei nostri quotidiani, finanziamenti a fiume senza controlli alcuni, stipendi e consulenze gonfiate ad hoc in una logica di mera spartizione tra la politica e l’elettorato; paghiamo altri mille e mille vizi di questo nostro malato sistema politico. Se oggi subiamo la drastica riduzione dei finanziamenti alle casse comunali è anche perché si è amministrato male, forse malissimo, a tutti i livelli: è la pressoché scontata “chiusura del cerchio”, il prevedibilissimo epilogo d’un romanzo che non poteva offrire un finale diverso. Adesso, quale ovvia conseguenza, ci attendono anni durissimi: “senza soldi non si canta messa”, recita un detto d’altri tempi, a ricordarci che non si possono chiedere i miracoli senza adeguate risorse economiche.

Eppure è proprio in questi momenti che dobbiamo aver coraggio: dobbiamo ritrovare oggi “il coraggio della speranza”, quello scatto d’orgoglio e dignità necessari a ripianare una situazione difficilissima. Ma per fare ciò è essenziale che la politica torni a fare la politica. Quella vera, quella il cui unico e ultimo fine è “servire i cittadini” e non “servire sé stessa”. Non è, e non sarà, facile per nessuno cantare messa senza soldi: ma la rigenerazione economica passa anche, e forse soprattutto, attraverso la rigenerazione della politica. Ci vuole un vento nuovo, una classe dirigente nuova, un modo d’agire e intendere l’impegno politico nuovo, delle “regole di governo” nuove, una “stabilità” politica vera che consenta di pianificare, programmare, portare a termine idee e progetti, sogni e speranze: quanti progetti, a vari livelli governativi, sono finiti nel cassetto per mere ripicche politiche dovute all’alternanza di governo? Dobbiamo aprire finalmente alle classi giovanili, poco rappresentate negli organi di governo, vera risorsa e investimento per il futuro delle nostre città. Dobbiamo avere il coraggio e la forza di ritornare al “professionismo della politica”, alle scuole di formazione, al necessario indottrinamento di chi assume ruoli di responsabilità: basta improvvisazioni e improvvisatori di turno, basta cariche di governo elargite con logiche di spartizione ed equilibrismi assolutamente instabili tra i partiti: anche in politica c’è bisogno di competenze specifiche, professionalità settoriali.

La politica torni a fare la politica: uno strumento dei suoi cittadini. Se i tempi d’oggi ci impongono una “politica umile” dobbiamo avere il coraggio di riscoprire l’”umiltà della politica”: quella per cui si sceglie e si decide solo dopo essersi confrontati con la comunità. L’azione politica deve tornare ad essere figlia di una vera “analisi dei bisogni” umani: quanti errori e quante scelte sbagliate sono state fatte per via di una “presunzione politica”, di un mancato dialogo, confronto, sentore delle reali necessità delle nostre comunità? Perché il necessario confronto politico/elettore si limita e si esaurisce languidamente alla sola campagna elettorale? Perché si continua a usare la presunzione politica attraverso l’implementazione di programmi elettorali assolutamente insostenibili in luogo di programmi veri, seri, onesti, coerenti ed economicamente sostenibili?

Ci attendono tempi (lunghi) di scelte sobrie, bilanci magri, slanci e progetti poveri: ma il compito più arduo e necessario è quello di ripartire davvero con una politica nuova, che non viva ed agisca per autogenerare e/o autocompiacere sé stessa, quanto per servire e “morire” per la sua comunità. Ripartiamo dunque dall’ascolto dei bisogni, e impariamo a fare silenzio: i fiumi e le lave di parole e promesse e orazioni illusorie hanno fatto il loro tempo.

“Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell’altruismo creativo o nel buio dell’egoismo distruttivo. Questa è la decisione. La più insistente ed urgente domanda della vita è: “Che cosa fate voi per gli altri?” Il sogno della non violenza. Pensieri – Martin Luther King

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