LE DUE CITTA’. IN ATTESA DELLA TERZA

Negli ultimi settant’anni Verbania è nata due volte. Nel 2009 siamo entrati in una crisi strutturale, che reclama intelligenza e passione per rinascere una terza volta. Ma la sfida è difficilissima e potrebbe fallire.

 Dopo la sua fondazione amministrativa (1939) e l’immediata, successiva parentesi della guerra, Verbania ha vissuto due fasi storiche molto ben caratterizzate. Nella prima, dal ‘45 alla fine degli anni ’70, abbiamo conosciuto la città-fabbrica, la città-operaia, cresciuta intorno al colosso Rhodiatoce/Montefibre: sempre piena occupazione, una vera e propria “fame” di manodopera, un’immigrazione (remota e “di prossimità”) tumultuosa che ha portato in un trentennio (censimento del ’71) al raddoppio della popolazione (34.000 abitanti), una forte espansione edilizia con la “condominializzazione” delle aree attigue ai centri storici e le “case popolari” (prima Renco, poi a Sant’Anna), una imponente estensione dell’infrastrutturazione (sistema idrico, fognario, viario, dello smaltimento dei rifiuti, del gas) e dei servizi (scuole dell’obbligo, scuole superiori, scuole materne e asili-nido, assistenza domiciliare).

A cavallo tra gli anni ’70 e ’80, il repentino e radicale mutamento di profilo, innescato dalla concomitante e irreversibile crisi strutturale della grande industria locale (chimica, cartaria, tessile, metalmeccanica). Il crollo del nostro sistema industriale ha generato in una manciata d’anni il blocco e la risacca demografica, l’esaurimento completo del fenomeno migratorio, l’espulsione dalle fabbriche di migliaia e migliaia di cassaintegrati e di prepensionati, la comparsa improvvisa dello spettro della disoccupazione giovanile. Da questa crisi repentina e drammatica la città è uscita grazie alle virtuose azioni della politica, nazionale e locale (cfr. Una città “in blocco” https://www.verbaniasettanta.it/?p=2016): nell’ultimo quarto di secolo ha preso forma la Verbania capoluogo di provincia, la Verbania delle piccola e media impresa del Piano Grande e di Saia, di Gepi/Acetati/Italpet, del nuovo turismo en plein air, dell’artigianato di servizio, dell’eccellenza nei servizi pubblici locali, la città della scuola e della formazione, del terziario pubblico statale, dell’autostrada, del Tecnoparco, del lavoro pendolare in direzione lombardo-ticinese.

In poco più d’un anno, con la stessa drammatica rapidità della prima, anche la seconda fase della nostra storia s’è chiusa. Ma, a differenza di quanto accaduto in passato, non vi sono più nel cuore della città i luoghi della cultura e della politica in grado di ripensarla e di formare una classe dirigente consapevole della storia dalla quale arriviamo. Di fronte a una crisi strutturale, la città è oggi rabbiosamente afona. Non solo sui blog (transeat..), ma addirittura in Consiglio Comunale si evoca genericamente il turismo come soluzione taumaturgica e miracolistica e masochisticamente si irride alla Verbania “industriale” e manifatturiera, come se bastasse esecrare la seconda ed esaltare il primo per risolvere d’incanto ogni problema. Si dibatte intensamente sulla riuscita o meno delle manifestazioni di capodanno, sulla miglior collocazione della pista di pattinaggio o sul numero congruo di feste private a Villa Giulia e non si leva una parola sulla chiusura di Acetati e della Ondulati del Verbano; si legge qua e là di una nuova Gardaland nella piana del Toce, del centro congressi polivalente all’arena (il quinto – tra programmati ed esistenti – tra Verbania e Stresa!), di una Expo permanente al posto di Acetati e non si considerano i progetti realistici e possibili già avviati (gli strumenti urbanistici dell’ex Colonia Motta e dell’ex Eden; il grande “polo culturale” che sarebbe nato con il nuovo teatro in p.zza F.lli Bandiera; il nuovo centro ospedaliero riabilitativo dell’Auxologico a Intra; le numerose iniziative imprenditoriali contenute nel Programma Territoriale Integrato, colpevolmente dimenticato dalle Amministrazioni Provinciale e Comunale).

Poi c’è il capitolo “industriale”, produttivo e manifatturiero. Immaginare una terza fase della nostra città (ma, più in generale, della conurbazione Verbania-Omegna) che non poggi robustamente anche sulla produzione industriale (su quella che c’è e su quella, nuova, da attrarre)  significa davvero consegnare queste terre a una funzione ancillare rispetto all’area metropolitana milanese: seconde case, consumo cieco di suolo per investimenti immobiliari residenziali senza valore aggiunto, turismo da week end senza ricadute significative sul reddito complessivo del territorio. E’ un discorso complesso, che avevamo iniziato in tempi in cui il livello di collaborazione e di integrazione tra le diverse Amministrazioni del Vco era decisamente più alto (cfr. https://www.verbaniasettanta.it/?page_id=2127, La Conurbazione dei Laghi). E dovrà essere ripreso.

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