LE RAGIONI DI MATTEO

La politica “provvisoria” e la ripresa del “sogno” del Lingotto: due motivi per guardare con interesse alla corsa di Matteo Renzi, andando oltre la “rottamazione” e la disfida generazionale.

L’annunciata presenza a Verbania di Matteo Renzi mi offre l’opportunità di esprimere le due ragioni  che mi inducono a seguire con interesse la scesa in campo del sindaco di Firenze per le primarie del Centrosinistra. Dichiaro subito che i motivi di interesse non sono quelli più enfatizzati dai media nazionali, e cioè la rottamazione della classe dirigente del PD e il rinnovamento anagrafico-generazionale del ceto politico. Si tratta, beninteso, di questioni importanti, urgenti e reclamate a gran voce dall’opinione pubblica, ma la solidità e la robustezza della proposta politica di Renzi a mio giudizio risiedono altrove.

La prima ragione di interesse sta nella volontà di Renzi di riportare la politica di professione a una dimensione di provvisorietà. Mi spiego: se è vero che la passione politica, quando è autentica, genuina e disinteressata, anima e attraversa l’intera esistenza di un uomo, non può essere che la politica diventi un lavoro “a tempo indeterminato”, un’eterna giostra del privilegio dalla quale – una volta saliti – non si scende più. Oggi in Italia la politica professionale è purtroppo così: consiglieri regionali, parlamentari e nominati nell’infinito sottobosco degli organismi di nomina politica godono di una condizione di straordinario privilegio (considerevoli vantaggi economici associati a responsabilità pressoché inesistenti) alla quale nessuno è disponibile a rinunciare.

La rocciosa determinazione con la quale Matteo Renzi insiste sul rispetto del vincolo, previsto dalla Statuto del PD, dei tre mandati parlamentari come soglia massima e insuperabile di impegno a livello nazionale, richiama questa verità, semplice e incontrovertibile: il politico è innanzitutto un cittadino e, come tale, prima di dedicarsi (senza vitalizi, mille  benefit e megaindennità) al servizio della cosa pubblica deve esser inserito nel tessuto socio-economico della sua comunità. Più semplicemente, deve avere un lavoro. E a questo lavoro deve tornare – cittadino tra i cittadini – dopo 10/15 anni di servizio politico “a tempo pieno”.  Sono consapevole che un “modello” di questo tipo cozza contra l’idea “mediterranea” del potere ostentato e della sua indefinita occupazione e guarda invece all’idea mittel-nordeuropea della politica professionale come “servizio a tempo”, ma la redenzione della politica o passa attraverso questa strada impervia ed esigente o non sarà. Non basteranno infatti le “rottamazioni” e/o i “ricambi generazionali”, che pure rappresentano potenti fattori di cambiamento.

La seconda ragione ci riporta invece alla missione del PD. Veltroni illustrò nel 2007 al Lingotto di Torino, nella giornata di fondazione del Partito Democratico, un’idea audace e ambiziosa: costruire una forza politica in grado valorizzare e superare le pur gloriose tradizioni dei “soci fondatori” (la sinistra postcomunista, il socialismo democratico, il riformismo repubblicano e liberale, il cattolicesimo democratico), nella prospettiva di un partito riformista in grado di contendere vittoriosamente alla Destra berlusconiana il voto di un elettorato “adulto” e non ideologizzato, pragmatico, interessato a riconoscere e premiare il merito e le “virtù civili” (due su tutte: l’onestà fiscale e l'”antifannullonismo”).

Questo è il crogiuolo in cui s’è forgiata la cosiddetta “vocazione maggioritaria” del PD: l’ambizione di raccogliere un consenso vasto e consapevole, fatto di elettori “nuovi” conquistati al campo dei conservatori e strappati dalla palude sterile dell’astensionismo e del “non voto”. Un consenso capace di allargare smisuratamente il perimetro dell’ormai asfittica tradizione riformista dei partiti del ‘900, senza dover replicare la devastante esperienza del governo dell’Unione. Matteo Renzi è oggi tra i Democratici l’uomo politico che più di altri riconosce il valore della sfida lanciata al Lingotto, rivendicando intatto il ruolo del PD senza cedimenti proporzionalisti al furbo moderatismo di Casini e al radicalismo narrativo di Vendola. E’ vero che le elezioni politiche del 2008 hanno frustrato questo disegno e mostrato la debolezza della leadership di Veltroni. Ma questo disegno resta la “ragione sociale” del PD, che non è nato per diventare “la Cosa 4”, proteiforme evoluzione (o involuzione) di Pci, Pds, Ds.

Le prossime settimane ci diranno se questi germi di novità contenuti nella proposta di Matteo Renzi sapranno rinnovare in profondità la scena politica nazionale.

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