ODI ET AMO. PARTITO DELL’AMORE, AMORE DI PARTITO……..

Mai come in queste settimane la parola d’ordine della politica è abbassare i toni. Si auspica cioè un confronto più civile tra esponenti politici, un dibattito centrato sulle cose e non gestito a colpi di slogan, una dialettica che consideri gli altri come avversari e non come nemici. E’ un richiamo sacrosanto e, in una democrazia matura come forse non è la nostra, così ovvio da risultare superfluo. Il confronto/scontro tra diverse e magari opposte opzioni progettuali e programmatiche è il sale della democrazia e contribuisce al formarsi dell’opinione pubblica, anche a livello locale. La maggiore o minore durezza della polemica appartiene poi alle contingenze del momento e al profilo – diciamo così – “psicologico-temperamentale” di coloro che democraticamente si affrontano; la categoria dell’odio è cosa affatto diversa e appartiene a chi ha della politica una visione totalizzante e pervasiva che deve necessariamente imporsi ad un avversario concepito come un nemico da annullare.

 Eppure mai come oggi questa condizione appare distante, pur avendo perso la politica il carattere di contrapposizione di sistema che ha avuto per molti decenni. Ed è paradossale rilevare come vi fossero più rispetto e più civiltà quando i partiti erano separati da opposte e spesso inconciliabili visioni della società, alimentate da robuste ideologie forgiate dai conflitti radicali che hanno attraversato il ‘900. Trenta e più anni di intensa militanza politica mi suggeriscono una risposta a questa evidente contraddizione. Al di là delle forti contrapposizioni ideologiche, politiche e programmatiche, democristiani, comunisti, socialisti e laici di varia estrazione riconoscevano di avere un terreno comune di straordinaria importanza nei valori fondativi della nazione, rinata nella guerra di liberazione e nel moto resistenziale: democrazia, antifascismo, costituzione, giustizia sociale. Un terreno comune che stemperava e assorbiva entro una fisiologica dialettica democratica anche lo scontro politico più acceso. Ora non è più così. Questo patrimonio si rivela in radice estraneo alla coalizione PdL/Lega Nord e a una parte cospicua del suo elettorato, forse più di quanto lo fosse – allora per riconoscibili ragioni storiche – alla tradizione missina. Oltre (e sopra) lo scontro politico-programmatico non c’è più alcun terreno ove ritrovare le ragioni superiori e i valori fondativi della nazione e della repubblica, ove ricomporre la sintesi che ci fa cittadini di una patria comune.

 In questo quadro di radicale estraneità, l’avversario diventa nemico. Non basta perciò il generico richiamo a più rispetto, a più civiltà, a più coesione. Continueranno a mancare, se non sarà ritrovato e ricomposto il terreno ideale della nostra patria comune.

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