SANITA’ E OSPEDALI. IL DISEGNO SENZA PIANO

Da mesi i vertici politico-sanitari del Vco menano il can per l’aia e il mitizzato “Piano di Rientro” rimane avvolto nelle nebbie. Ma intanto il disegno di riassetto ospedaliero va avanti anche senza Piano: un ospedale “cardine” provinciale al San Biagio e al “Castelli” un ospedale pubblico “di prossimità” a bassa intensità di cure. E magari con una spruzzatina di “privato” redditizio.

Parafrasando l’inarrivabile Mentana, si può dire oggi tranquillamente che “sotto il cielo della sanità provinciale” la confusione è massima. L’Assemblea dei Sindaci dell’Asl, tenutasi il 4 luglio, si è rivelata un flop: nessuna informazione, nessuna strategia, nessuna linea d’azione, se non la certezza di tagli di personale, di chiusure di servizi e di riduzioni di prestazioni determinati dalla tenaglia costituita del blocco delle assunzioni di medici e infermieri e dal “generale estate” con gli insopprimibili turni di ferie del personale Asl. Quest’anno però con una certezza in più: dopo l’estate nulla tornerà come prima e un ulteriore, irreversibile gradino del degrado dei servizi sanitari sarà stato conquistato.

Ma non pensate che il punto di massima confusione coincida con il punto di massima incertezza: anche senza il Piano di Rientro provinciale, il disegno della nuova sanità ospedaliera del Vco sta prendendo corpo e forma. E proprio la voluta (da Cattrini, da Cattaneo/De Magistris/Marinello, da Zacchera) assenza del Piano sanitario provinciale agevola a facilità il disegno in corso, di cui nessuno s’è assunto pubblicamente la responsabilità. Il disegno è esattamente quello che avevamo tratteggiato – come scenario ipotetico, ma realistico – alcuni mesi fa e che potete leggere qui, qui e qui. La recente inaugurazione delle nuove, moderne e razionali sale operatore al S. Biagio di Domo dota il nosocomio ossolano in una efficiente attrezzatura sanitaria, incomparabilmente più efficace di quella “gemella” (la “torre operatoria”) attualmente in dotazione al “Castelli”, ormai strutturalmente superata. Nuove, moderne e razionali sale operatorie impongono la presenza nel nosocomio dei servizi di Rianimazione e di un vero e proprio Dea. Così come Rianimazione e Dea impone la presenza del servizio di Neurologia/Stroke Unit. Nel corso nella recente Assemblea dei Sindaci, il neo-primo cittadino di Domodossola ha calato poi con una certa brutale chiarezza la sua carta: accettare la chiusura (solo estiva? permanente? boh!) e il trasferimento del Punto-Nascite da Domo a Verbania, in cambio dell’assegnazione (ovviamente permanente) all’ospedale ossolano del mille volte annunciato servizio di Emodinamica.

Un ospedale con infrastrutturazione chirurgica nuova ed efficiente si candida ad attrarre naturalmente la totalità delle prestazioni chirurgico-operatorie del territorio e per fare ciò ha necessità di avere un Dea e una Rianimazione; il nuovo servizio di Emodinamica è destinato per invincibile logica interna ad attrarre la Cardiologia e la Cardiochirurgia “minore”, che con l’esistente Neurologia costituirebbe il segmento di cura delle patologie circolatorie a livello cardiaco e cerebrale. Chirurgie (Generale, Ortotraumatologica, Urologica, Oculistica..), Dea, Rianimazione, Patologie circolatorie costituiscono il cuore di un ospedale-cardine di rilevanza provinciale (ospedale di fascia B), così come è stato descritto nei documenti della Regione. Questo è il disegno che, in assenza di qualunque Piano ufficiale, si sta definendo per il “San Biagio”.

Il “Castelli” di Verbania resterebbe un ospedale di degenza e radioterapia oncologica, con alcuni servizi di area medica (Medicina generale, Psichiatria, Malattie infettive..), un Dea “per stabilizzare le emergenze” (cioè un Pronto Soccorso) e un Materno-Infantile (Ginecologia-Ostetricia e Pediatria) destinato in tempi medio-brevi a essere riassorbito dall’ospedale-cardine di Domo, proprio in virtù della prevalenza “chirurgica” di Ginecologia e Ostetricia. Il nosocomio pubblico cittadino diverrebbe così a tutti gli effetti un ospedale “di prossimità” (fascia C) a bassa intensità di cura, un sovradimensionato country hospital medico-oncologico e poliambulatoriale, all’interno del quale un furbo privato potrebbe ritagliarsi uno spazio per lucrose attività medico-chirurgiche programmabili, non diversamente da quanto accade al Coq di Omegna.

E’ questa la soluzione migliore per la sanità del Vco? Io credo di no, per le ragioni già espresse (cfr. https://www.verbaniasettanta.it/?p=2699; https://www.verbaniasettanta.it/?p=2510; ) qualche mese fa. A questo disegno, che si sta silenziosamente realizzando senza che nessuno l’abbia pubblicamente discusso e deciso, c’è una sola alternativa in grado di mantenere la coesione territoriale e un livello minimo di qualità prestazionale: l’ospedale unico plurisede, costruito sui due presidi di Domo e Verbania. Ci vogliono un po’ di soldi in più, ma sono questi i soldi che prioritariamente il Vco reclama, non quelli – sempre promessi, mai visti – della chimerica autonomia o specificità montana.

Qualcuno sicuramente in chiusura vorrà conoscere il pensiero del primo cittadino di Verbania sulla “carta” calata lunedì scorso dal suo collega di Domo durante l’Assemblea dei Sindaci. Eccolo, nel virgolettato di Verbania News: “Non dico di essere d’accordo, ma nemmeno contrario a priori a proposito della proposta del collega domese”. Parole esaustive, illuminanti, definitive. Una certezza.

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