SEMPRE DALLE PARTI DI PONTIDA di Roberto NEGRONI

Ciò che però oggi mi pare utile è andare oltre l’invettiva e lo sconforto apocalittico che inchiodano ad un paradiso perduto dai contorni reali sempre più sfumati, che maledicono il presente e negano il futuro. Ciò che mi pare necessario è la rilettura di quel lungo percorso, travagliato complesso e tutt’altro che lineare, in una chiave autenticamente storica che ne permetta la piena comprensione, e, quel che più conta, è non smettere di sforzarsi di capire come governare ciò che quel percorso ha lasciato sul tavolo: la realtà odierna

Alla nota e al documento del GRUV (leggere qui) a commento del mio scritto del 12 agosto penso di dovere una risposta, oltre, naturalmente, il ringraziamento per l’attenzione.

Innanzi tutto la nota, che pone una precisa richiesta: “Quello che, secondo noi, non è molto chiaro sono i contenuti, cioè pianificare che cosa per ottenere cosa?”. Provo a ricapitolare in sintesi.

Il percorso metodologico della pianificazione strategica, come il tram, viaggia su due binari: prevede che vengano inizialmente definiti e condivisi il come e il cosa, cioè i requisiti qualitativi che devono essere garantiti e le aree tematiche di interesse preminente dalle quali partire e poi sviluppare.

  1. I primi sono ormai da tempo codificati dall’abbondante letteratura in materia. Li richiamo brevemente. Il processo pianificatorio …
  • … deve avere carattere marcatamente partecipativo, deve cioè svilupparsi dal confronto paritario tra i soggetti pubblici e privati portatori di interesse, iniziativa e risorse rispetto alle aree tematiche in discussione che sono presenti nella società locale, al fine di produrre un piano di progetti largamente condivisi;
  • … guarda al medio e lungo termine, non i problemi contingenti, è cioè strumento di promozione dello sviluppo generale delle comunità del territorio;
  • … attiva progetti decisivi per la promozione delle aree tematiche investite, progetti che, diversamente da quanto solitamente avviene nella pubblica amministrazione, hanno quasi sempre portata trasversale, intercompartimentale;
  • … guarda a bisogni che investono complessivamente la comunità o a sue parti di rilevanza decisiva per il benessere comune, non è strumento per interessi settoriali.
  1. Le aree tematiche di interesse preminente, quelle cui pare più urgente mettere mano e perciò dalle quali partire, sono individuate dai decisori politici che hanno avviato e sostengono il percorso pianificatorio (nel nostro caso, i sindaci dei cinque Comuni promotori), sulla base di uno studio preliminare della situazione odierna che ha avuto come oggetto: gli assetti territoriali, il tessuto produttivo-occupazionale, il contesto sociale. Le aree tematiche strategiche individuate, dalle quali avviare il percorso con la convocazione di quattro Forum (altre poi dovranno seguire), sono:
  • la ripresa dell’edilizia orientata al riuso e alla riqualificazione urbana,
  • lo sviluppo produttivo-occupazionale nel settore della valorizzazione del riciclo dei rifiuti,
  • il welfare locale considerato nell’accezione estesa di benessere e qualità della vita,
  • la ricerca dei fattori idonei a produrre un riposizionamento competitivo dell’intera area.

L’insieme costituito dai due binari, il come e il cosa, è ciò che all’avvio della fase operativa del processo rappresenta “i contenuti”, che hanno necessariamente un carattere generale, in quanto una maggiore specificazione e messa a fuoco potrà venire, soprattutto per quanto riguarda il cosa, dalle decisioni e dalle scelte che scaturiranno dal confronto nei Forum. Quanto poi alle difficoltà di avviare e, più ancora, di condurre e, più ancora, di attuare un processo di Pia.Stra., non mi ripeto, ma, avendone una qualche conoscenza, credo sia uno dei pochi strumenti oggi rimasti nella cassetta degli attrezzi soprattutto di chi vuol provare a cavare dallo stagno territori prostrati come i nostri. Quindi è una sfida che va accettata. La vera presa per i fondelli sarebbe strumentalizzarla, lasciarla piegare ad interessi particolari. Quindi, occhi aperti.

Passando ad altro, e concludendo, io non parlo “di conurbazione in quanto possibile strategia per il medio-lungo periodo”. La conurbazione (cioè un tessuto urbano allargato e policentrico) non è una strategia, ma un dato di fatto, c’è già, non è una meta alla quale anelare o un pericolo da scansare; più precisamente, ci sono già sia la conurbazione che chiamiamo Verbania, che quella sviluppatasi sull’asse Verbania-Omegna (altra cosa è l’espansione urbana, che fagocita aree verdi e frazioni, ma non produce policentrismo). Intendiamoci, quelle di cui parliamo sono piccole conurbazioni, commisurate ai nostri piccoli abitati e ai nostri ristretti territori, ma tali sono. Poi ciascuno può esprimere le valutazioni che ritiene opportune sul processo che le ha generate, sui costi, le nefandezze, sugli errori che hanno inevitabilmente costellato settant’anni di amministrazioni repubblicane; ciascuno può compilare un suo personale cahier de doléances, per quanto si è dilapidato e perso (personalmente, molto condivido del vostro).

Ciò che però oggi mi pare utile è andare oltre l’invettiva e lo sconforto apocalittico che inchiodano ad un paradiso perduto dai contorni reali sempre più sfumati, che maledicono il presente e negano il futuro. Ciò che mi pare necessario è la rilettura di quel lungo percorso, travagliato complesso e tutt’altro che lineare, in una chiave autenticamente storica che ne permetta la piena comprensione, e, quel che più conta, è non smettere di sforzarsi di capire come governare ciò che quel percorso ha lasciato sul tavolo: la realtà odierna. Come muoversi verso il domani, cercando di evitare gli errori e i guasti del passato: come fare argine a logiche di rapina, all’appropriazione indebita di ciò che è bene comune, al prevalere di bassi interessi di cortile, di campanile, di bottega. Come lasciare senza troppe colpe e rimpianti questo angolo di mondo che ci è capitato in sorte alle nuove generazioni.

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