Sono numerosi e suggestivi gli antichi percorsi che hanno reso accessibile e fruibile il Monterosso al tempo della nostra “civiltà rurale”. Oggi rischiano di scomparire, mentre sarebbero una interessante risorsa ambientale, turistica e paesaggistica per tutta la nostra zona.
Quattro anni fa su queste pagine virtuali veniva affrontato il tema del recupero dei percorsi e dei sentieri del Monterosso, nella prospettiva di un’intelligente valorizzazione turistica e ambientale della nostra “montagna urbana”. Si era (settembre 2011) nel pieno dell’amministrazione destro-leghista e le proposte che il Centrosinistra fece attraverso Verbaniasettanta caddero naturalmente nel vuoto. La situazione è rimasta inalterata, ma l’avvio di un nuovo ciclo amministrativo lascia ben sperare in una riconsiderazione dei contenuti che allora furono negletti, ma che oggi possono diventare un elemento forte e robusto dell’azione del Centrosinistra in Comune.
Analogamente alle altre realtà collinari e montane della nostro zona, anche il Monterosso a partire dagli anni ’40-’50 del secolo scorso ha vissuto uno strano destino: da un lato, è divenuto oggetto di intensi appetiti edilizi, che hanno a più riprese (dagli anni ’50 agli anni ’90) costellato le sue falde più basse di ville e villette, in quello che è oggi un continuum indistinto di abitazioni in risalita da Suna e Pallanza verso il monte; dall’altro, le falde medie e alte si sono rapidamente inselvatichite e “rinaturalizzate”, inghiottendo gran parte dei segni di una presenza umana antica di secoli (sentieri, percorsi vicinali, muri a secco, terrazzamenti per le colture) e rendendo difficilmente accessibili e fruibili quegli stessi luoghi.
Eppure, nonostante la “cancellazione” della sua prima falda a causa di un’edificazione massiva e la sostanziale estraneità con cui è guardato dai verbanesi, il Monterosso potrebbe ancora – seppur parzialmente – essere reso vivo e attrattivo per i residenti e i villeggianti, in particolar modo per i campeggiatori della piana del Toce. Un primo passo deve consistere nel recupero effettivo e consapevole della rete di antichi sentieri ancora oggi esistenti. Recupero effettivo e consapevole significa due cose: una campagna di manutenzione straordinaria dei percorsi e un’attività pianificata e completa di tabellazione dei sentieri. Oggi appare adeguatamente mantenuto e segnalato soltanto il sentiero del Buon Rimedio da Suna a Cavandone, mentre risulta meno efficace la tabellazione/segnalazione – pur esistente – dei sentieri che da Cavandone scendono a Bieno e a Fondotoce. Vi sono poi altri percorsi che versano in condizioni manutentive peggiori: il sentiero dell’acquetta, che da via Toti/Pogiani sale al Pellegrino e a Cavandone; il lungo e suggestivo sentiero Madonna di Campagna-Bieno, sul versante nord del monte; il sentiero che dalla parte alta di Cavandone porta sino alla via al Monterosso; i tre vecchi percorsi gippabili noti come “taglia fuochi”; il sentiero dei “ronchi”, una sorta di “direttissima” Suna-Pellegrino; il sentiero della Bergamina; il grande e trascurato percorso Cavandone-Bieno-Fondotoce-Mergozzo-Montorfano.
Sopravvivono poi qua e là dei tratti di sentieri – vicinali e comunali – che per qualche centinaio d’anni consentivano a sunesi e pallanzesi di raggiungere i fondi di proprietà per curarvi le colture agricole e l’allevamento di qualche capo di bestiame. Con il venir meno di questi usi, i sentieri sono stati prima totalmente abbandonati e poi in più d’un caso interclusi e “assorbiti” nelle proprietà che costeggiavano o attraversavano.
Sarebbe molto opportuno, prima che la memoria storica si perda del tutto, avviare una grande azione di valorizzazione e recupero del Monterosso. Questi potrebbero essere i passaggi: realizzare una mappatura aggiornata di tutti i sentieri conosciuti; comparare la situazione attuale con quella dei periodi precedenti, recuperando su antiche mappe della zona il reticolo storico dei percorsi e dei sentieri; avviare un progetto specifico di manutenzione straordinaria dei sentieri ancora riconoscibili e di quelli “riscoperti”; collocare in sito una segnalazione/tabellazione chiara e accessibile dei percorsi; preparare un opuscolo con cartografia illustrativa di tutti i sentieri; predisporre iniziative per la divulgazione di questa interessante e suggestiva opportunità di fruizione e riscoperta dei territorio tra i residenti, nei campeggi e negli alberghi cittadini.
C’è, insomma, molto lavoro da fare. Ma non sarebbe certamente lavoro inutile.
Quello messo peggio è probabilmente la vecchia gippabile che attraversa il cd “bosco littorio”: percorribile per soli 800 metri, poi si perde nell’erba e tra i castagni caduti. Il sentiero sottostante invece è quantomeno facile da seguire, ma i ponticelli in legno sarebbero da verificare.
Sono d’accordo sull’opportunità che questi sentieri vengano recuperati, perché alla “Forestale” che nei mesi invernali veniva messa in cassa integrazione, non poteva invece essere affidato tale compito ?