SPECIFICITA’ MONTANA E AUTONOMIA DEL VCO. FORSE LA PRIMA NON E’ BUONA

La proposta di legge sull’autonomia del Vco, presentata repentinamente da cinque Comuni dell’Ossola con amplissimo utilizzo del “copia-incolla” dopo 48 ore di assalto all’arma bianca su Dea e ospedali,  costituisce per il centrosinistra locale più un problema che un’opportunità. Per questa ragione sarebbero graditi il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i soggetti interessati, poiché le fughe in avanti e la tentazione della bandierina piantata poco giovano alla causa comune. Sempre che sia individuata e definita con precisione questa causa comune, perchè oggi non si vede

Sto seguendo in questi giorni con curiosità e divertita sorpresa la vicenda della proposta di legge sulla specificità montana del Vco, presentata con un riuscito blitz mediatico da cinque Comuni dell’Ossola, tra cui Domo. Calata sulla testa di un territorio stordito e lacerato dalla settimana di passione sulla Sanità, l’iniziativa si presta a qualche considerazione e a qualche riflessione.

Primo. E’ difficile separare l’improvvisa diffusione della proposta di legge regionale (22 novembre) dalle violentissime reazioni dei Comuni e dei Sindaci dell’Ossola alla notizia del rinvio di un anno della scelta dell’unico Dea del Vco da parte della Regione Piemonte (20 novembre). Reazioni non propriamente pacate, di cui si offre un sommario florilegio tratto dalle cronache di Azzurra Tv: “basta con questa politica infame”, “siamo di fronte a una decisione scellerata”, “il rinvio di un anno è una tragedia”, “i sindaci occuperanno l’ospedale”, “s’annunciano dimissioni di massa dei sindaci”. Sono però gli stessi protagonisti del fuoco “ad alzo zero” delle prime ore su Saitta, Chiamparino, Verbania, Reschigna che sabato 22 novembre si presentano alla stampa per illustrare un disegno di legge finalizzato alla coesione territoriale, alla salvaguardia della specificità del Vco, a contrastare le spinte alla disunione, ecc.. Difficile non cogliere in questo “uno-due” consumato in quarantotto ore la sindrome dr. Jekyll-mr. Heyde.

Secondo. Colpito dall’uno-due sopra descritto, sono andato a guardare il testo della proposta di legge, peraltro sfornato e confezionato in una manciata di ore e senza alcun coinvolgimento delle altre 72 realtà municipali che pure si suppongono interessate “alla coesione territoriale, alla salvaguardia della specificità del Vco, al contrasto delle spinte alla disunione, ecc…“. Ebbene, il 90% e più del testo della proposta di legge è l’esito di un “copia-incolla” della legge 463/99 (“Norme di attuazione dello Statuto Speciale del Trentino Alto Adige”: leggere qui) e della legge 79/14 della Regione Veneto sull’autonomia della provincia di Belluno: leggere qui). L’elemento originale più significativo della proposta di legge dei cinque Comuni ossolani consiste nella richiesta di aumentare del 25% la quota del fondo sanitario regionale riconosciuta al Vco. Perchè tutta questa fretta per un “copia-incolla“? Perchè non condividere con il mitico “territorio” una proposta vera di coesione territoriale, partendo dal materiale legislativo nazionale e regionale già in circolazione e arricchendolo con specifiche, originali e autonome integrazioni legate alla storia di questo angolo tripolare in profondissima crisi? Qual è il significato di questa proposta, che sa molto di “prendere o lasciare” e che tutti i Comuni del Vco dovrebbero approvare a tamburo battente? Domande che attendono risposta.

Terzo. Alcune evidenti contraddizioni di questa mossa non sono sfuggite ad attori non secondari della scena politica locale. Il vicepresidente della Regione, Reschigna (del Pd, ça va sans dire), ha espresso tutto il suo disappunto in questo comunicato-stampa. Il segretario provinciale del PD ha mandato su questo argomento una lunga lettera agli iscritti, sostenendo testualmente che “non c’è stata alcuna condivisione nei modi, nei tempi e neppure sui contenuti della proposta di legge né con me né con il vicepresidente della Regione…”. Un sindaco di lunga esperienza amministrativa come Giandomenico Albertella (Cannobio) ha dichiarato che “se la proposta di legge fosse condivisa da tutti noi 77 sarebbe meglio: la casa si costruisce dalle fondamenta, non giochiamo a fare i primi della classe; la peculiarità montana non è di una valle, ma di un territorio intero“. Il fatto poi che l’unico, entusiastico e acritico (e un filino strumentale, o no?) sostegno alla proposta venga dal Nuovo Centro Destra di Verbania (leggi qui) dovrebbe indurre qualche meditata considerazione.

Quarto. Sfrondato dei contenuti – diciamo così – “d’importazione” (che sono poi quasi tutti) il testo della proposta di legge presenta due elementi di vera sostanza (soldi, in altre parole). Il primo è la richiesta alla Regione Piemonte di aumentare del 25% la quota pro capite del finanziamento per la sanità del Vco. Ora, pur non considerando le obiezioni finanziarie (povero Reschigna!) della Regione, che dovrebbe fare i conti con analoghe e prevedibili richieste da parte delle molte altre realtà “disagiate” e “montane” del Piemonte, sulla base di quali obiettivi chiediamo questo imponente amento di risorse? Vogliamo mantenere i due Dea  di Verbania e Domo, conservando lo status quo (cioè due Dea di 1° livello per due “mezzi ospedali”)? Oppure vogliamo costruire una rete ospedaliera che preveda un ospedale provinciale con Dea e altri due presidi pubblici “di base” con Pronto Soccorso? O vogliamo altro? Il secondo elemento di sostanza è la previsione (prelevata di peso dall’art. 11, comma 16 della legge per il Trentino) di conferire alla Provincia i proventi dei canoni demaniali per la concessione delle derivazioni dei corsi d’acqua a scopo idroelettrico. E’ una richiesta che realisticamente (e finanziariamente) la Regione Piemonte potrà accettare? E potrà essere poi negata alle altre numerose realtà montane piemontesi con analoghe caratteristiche?

Quinto. Chiudo con una considerazione di carattere generale. Tempi, modi e contenuti di questa proposta di legge rivelano l’intenzione di affrontare e risolvere (o almeno tamponare) i problemi del territorio con il trasferimento e la gestione in loco di risorse (il fondo sanitario, i canoni di derivazione..) oggi gestite da altri soggetti istituzionali (ad esempio, la Regione). Un riequilibrio nella distribuzione di risorse che avvantaggi territori oggettivamente deboli e penalizzati è un’operazione ragionevole, ma delicatissima. E non basta. Anzi, nel cuore della crisi che stiamo vivendo dovremmo innanzitutto fare ricorso alle nostre risorse di creatività e di immaginazione, alla nostra capacità di essere attrattivi e di ricostruire – senza assistenzialismi mascherati – un tessuto economico in grado di dare alla nostra terra risposte all’altezza di quelle che i nostri progenitori hanno saputo dare tra ‘800 e ‘900.

Per questa ragione sarebbero graditi il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i soggetti interessati, poichè le fughe in avanti e la tentazione della bandierina piantata poco giovano alla causa comune. Sempre che sia individuata e definita con precisione questa causa comune, perchè oggi non si vede

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