TERESA BINDA, MORIRE PER LA LIBERTA’

Teresa fu catturata dai fascisti delle Brigate Nere nella sua casa di via Gioberti. Trasferita prima a Villa Caramora a Intra e poi alle carceri di Domodossola, fu picchiata, torturata e infine fucilata insieme al gappista intrese Otello Mapelli, al carabiniere-partigiano Cesare Badella e ad altri sei giovani cui fece da madre nel momento tragico e solenne della morte. 

“…….. Concludo questa riflessione a voce alta con un riferimento locale, che ci onora e ci inorgoglisce perché fa emergere naturalmente quell’idea d’Italia che nel 25 aprile riconosciamo. In questo momento, mentre io vi parlo, a Roma, all’Altare della Patria, Gianni Saffaglio riceve dalle mani del Presidente Giorgio Napolitano la medaglia d’oro al merito civile concessa a sua madre, Teresa Binda, fucilata dai nazisti a Beura Cardezza il 27 giugno 1944. Gianni Saffaglio è stato partigiano in Val Grande e lì sua madre lo raggiunse nel giugno del ’44; non potè rientrare a casa, a Suna, perché in quei giorni si scatenò il rastrellamento nazifascista. Teresa Binda seguì la colonna partigiana verso Finero, dove il figlio l’affidò a una famiglia di contadini. Tornata a Suna, Teresa fu catturata dai fascisti delle Brigate Nere nella sua casa di via Gioberti. Trasferita prima a Villa Caramora a Intra e poi alle carceri di Domodossola, fu picchiata, torturata e infine fucilata insieme al gappista intrese Otello Mapelli, al carabiniere-partigiano Cesare Badella e ad altri sei giovani cui fece da madre nel momento tragico e solenne della morte.

Il sacrificio di mamma Teresa, rimasta presto vedova con quest’unico figlio, viene ora onorato dal Presidente della Repubblica all’Altare della Patria.  E noi aggiungiamo la sua memoria accanto a quella di uomini e donne a cui l’Amministrazione Comunale in questi ultimi anni ha voluto dedicare luoghi e spazi della nostra città, perché sia messa al riparo dall’oblìo quell’idea dell’Italia che ci ha fatto liberi: dell’infermiera “medico di Brigata” Maria Peron parla la scuola elementare di S. Anna; di Nino Chiovini, “Peppo”, parla il parco di Biganzolo. Dell’eroismo collettivo della città di Verbania parla la medaglia d’oro al merito civile che ho ricevuto dalle mani del Presidente Ciampi nell’ottobre del 2005; della dedizione della crocerossina Maria Vittoria Zeme dirà un  percorso che la Giunta si accinge a intitolarle a Pallanza.

La vicenda di questa donna mi è stata raccontata nelle settimane scorse da Gianni Saffaglio, Giannino, con grande lucidità, passione e dignità. Una testimonianza di grande valore. Prima di congedarsi, Giannino mi ha narrato un episodio apparentemente minimo, che – pur a distanza di moltissimi anni – lo commuoveva ancora profondamente. A Liberazione avvenuta, il giovane Saffaglio si trovava sul lungolago di Pallanza. Spaesato e confuso. Solo. Non possedeva altro che il moschetto, un paio di calzoni sdruciti e una camicia: i fascisti che avevano catturato Teresa non avevano certo risparmiato la sua casa e i pochi beni che la donna possedeva. Lì, sul lungolago, Gianni Saffaglio viene chiamato da Ettore Franzi, commerciante d’abiti, e invitato nel negozio per potersi rivestire dopo un anno di vita alla macchia. Un episodio solo apparentemente minimo, dicevo: nell’intensa commozione di Saffaglio si rivela infatti la consapevolezza di un’esistenza che riprende dopo l’intermezzo tragico e straordinario della Resistenza. La nuova esistenza ricomincia da una reciproca riconoscenza: quella di un civile per il giovanissimo partigiano che tutto ha messo in gioco per la libertà dell’Italia e quella del partigiano per un uomo che con un gesto semplice e immediato di generosa solidarietà lo ha riaccolto nella comunità civile che proprio allora rinasceva.

In Gianni Saffaglio e in Ettore Franzi si rivela forse meglio che in molte parole quell’idea dell’Italia che costituisce ancora oggi il lascito preziosissimo del 25 aprile.

                                                                 Claudio Zanotti, sindaco di Verbania

Verbania-Intra, 25 aprile 2008

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