UNA POLITICA DOPO IL VIRUS di Diego BRIGNOLI

Ora la barca rischia di affondare, possiamo forse salvarci se ci mettiamo tutti a mantenere l’equilibrio e a remare nella stessa direzione, se ci accapigliamo invece in un vano “si salvi chi può”, tanto vale che l’orchestra del Titanic cominci a suonare. Vedremo come andrà, spero ma non mi illudo. Non credo che #andratuttobene e il conto lo pagheranno ancora i più deboli. Come sempre. Forse questa volta si incazzano un po’ di più ma l’avversario è ben strutturato. 

Quella che sembrava una semplice influenza,  magari solo un po’ più cattivella, si è rivelata una pandemia con il  solo precedente  della “Spagnola” di un secolo fa. Un nemico sconosciuto e invincibile ci ha messo alle corde,  rinchiuso in casa,  sbattuto in faccia debolezze e fragilità, inadeguatezze e incapacità. Si è cercato di correre ai ripari, con affanno, difficoltà enormi, provvedimenti diversi, risultati altalenanti. Immagini da film catastrofico hanno mostrato quanto inadeguato fosse l’intero sistema. Ora, in una babele di norme spesso contraddittorie, stiamo cercando di ripartire, di “tornare alla  normalità”. Ma il timore è che la normalità sia in realtà il problema: il dopo-coronavirus dovrà rimodellare il sistema dalle radici.

A partire dall’economia. I capisaldi del pensiero liberista, Mercato e Individuo, vanno di nuovo riconvertiti in  Stato e Società; gli slogan anni Ottanta “La società non esiste, esistono gli individui” (M. Thatcher) e “Lo Stato non è la soluzione, ma il problema” (R. Reagan) hanno mostrato la loro inadeguatezza.

A partire dai rapporti internazionali. È giunto il momento di decidere “se l’Unione è un progetto politico o solo un progetto di mercato” ha dichiarato Macron in questi giorni.

A partire da questioni forse più alla nostra portata come gli assetti delle istituzioni a noi più vicine,  per non aspettare che il  mondo cambi senza che nulla cambi.

Chi può intestarsi compiti di tale portata e ambizione?  Progetti che hanno bisogno di uscire dalle disquisizioni filosofiche e trovare concreta applicazione. Solo la Politica.  Ma la politica è e sarà all’altezza? Dalla risposta a questa domanda derivano i dubbi e le perplessità. Può darsi che non accadrà nulla, che tutto “tornerà alla normalità” del prima,  che il grande sogno di un nuovo mondo soffocherà nelle bassezze della campagna elettorale perenne, nelle miserie degli interessi, nella pochezza di sfrontati e inadeguati miracolati da astrusi sistemi e meccanismi elettorali. Avrà perso la politica. Avremo perso tutti.

Colgo con piacere lo stimolo dell’articolo dei vecchi amici e compagni, di militanza, e di passione e  riparto dalle questioni poste.

Regioni. Mi viene qui straordinariamente complicato non cedere alla tentazione del “l’avevo detto”. La stupida guerra di polemiche in atto in queste settimane tra Stato e Regioni, tra Regione e Regione, all’interno delle Regioni stesse, rappresenta la prova ontologica dell’inevitabilità di una radicale riforma di un’istituzione che sta mostrando a tutti i livelli i suoi drammatici limiti. In testa le regioni del Nord, quelle che in passato avevano dato prova di miglior funzionamento. Le performance di alcuni protagonisti dei governi regionali (casuale la comune provenienza destro-leghista?) a tutti i livelli, non solo apicali (il nostro rappresentante territoriale ne è fulgido esempio), inducono alla tentazione di una loro immediata sepoltura, anche senza esequie, e soprattutto senza rimpianti. Altre esperienze, l’Emilia Romagna di Bonaccini ad esempio, indurrebbero a qualche ragionamento più prudente. Il tema è da approfondire, mi sarebbe piaciuto farlo con Vasco Errani e Elly Schlein che si erano detti disponibili. Chissà se e quando, e come,  sarà possibile.

Ad ogni buon conto credo che il punto nodale sia quello delle competenze. Un conto l’indirizzo riguardo esigenze differenti per ragioni ambientali (lascerei perdere le ragioni storico culturali che a momenti ci fanno finire in Lombardia),  un conto la programmazione e il coordinamento in aree  omogenee per estensione e/o popolazione; tutta un’altra cosa il potere legislativo che la babele normativa di questi giorni ha reso palese anche ai più distratti.  Sopra a tutto questo la garanzia e la tutela di diritti fondamentali (salute, istruzione) per tutti i cittadini.

             Comuni e province. Ça va sans dire, una rivisitazione del ruolo delle Regioni non può prescindere da un’attenta rivisitazione complessiva delle competenze di comuni e, soprattutto, province. Vittime queste ultime della “macelleria istituzionale” (virgoletto perché la frase non è mia ma di Guglielmo Epifani) della riforma Delrio. Riguardo i comuni la mia esperienza è quella della gestione di servizi per conto di enti che non hanno alcuna possibilità di gestire in solitudine. Ritengo che un accorpamento sia pressoché doveroso e inevitabile, magari evitando referendum divisivi di anschluss di  un comune escludendone altri. Unica possibile ed eventuale alternativa il buon funzionamento delle Unioni dei Comuni, con i singoli municipi che mantengono nome, bandiera, campanile e magari i cartelli “benvenuti a”  e “arrivederci a” all’ingresso e all’uscita. Mi pare però che non sempre e non tutto stia funzionando così bene, per cui la mia è solo un’ipotesi scarsamente percorribile. Purtroppo la politica su questo terreno dovrebbe volare alto, cosa che non è avvenuta e non avviene qui, con le disattese responsabilità di Verbania che anziché  inventarsi voli pindarici di capitale dei laghi e della cultura meglio farebbe ad intestarsi il ruolo di capoluogo e  pensare ad incrementare e rafforzare legami e collaborazioni estesi al di là delle Colonne d’Ercole di Fondotoce.

             Fisco, evasione, patrimoniale e burocrazia.  Che la tassazione debba rispondere a criteri di equità e  indirizzarsi sulla ricchezza privata più che sul lavoro credo sia essenziale ed impellente e a livello locale probabilmente è più facile individuare più o  meno giustificate ricchezze. Ho avuto modo di ascoltare più volte Vincenzo Visco e Maria Cecilia Guerra, ora sottosegretaria al Mef, insistere proprio su questi temi: una generale semplificazione, un sistema omogeneo che ripristini la progressività, una modesta imposta patrimoniale che possa sostituire i prelievi che oggi esistono sui redditi da capitale tassati poco e male a confronto dei redditi da lavoro tassati pienamente (e anche troppo). Si tratta di un lavoro lungo e delicato, iniziato ma credo interrotto dallo scoppio dell’epidemia, doverosamente da riprendere, affrontando magari una questione solo apparentemente marginale: “se una certa categoria ha un “santo in paradiso” o c’è un parlamentare che propone un’agevolazione, la riceve..”. (M. Cecilia Guerra). Il PD ha proposto in questi giorni un prelievo sui redditi sopra gli ottantamila euro.  Concordo e credo che la proposta sia da considerare seriamente, però dopo, adesso significherebbe scatenare ulteriori polemiche di cui non sentiamo affatto il bisogno. Lo so, ho sentito che  anche Elsa Fornero la pensa più o meno  come me, che ci posso fare!

Collegata  al tema ovviamente la questione evasione fiscale. Certo, i soldi sottratti al fisco sono letti d’ospedale e quant’altro in meno. Lo ha detto pure Fabio Fazio  e le sue parole sono state riprese dal Papa. Sono oggettivamente esposto causa la professione ad alta facoltà evasiva, proprio per questo sarei felice di una tassazione sulla reale ricchezza: il mio stile di vita, i miei risparmi e il mio conto in banca sono a disposizione. Capisco che sia difficile e impopolare, anche a dirsi, ma lotta all’evasione non può essere guerra tra i poveri: l’idraulico o il barista che non rilasciano scontrino o fattura (e posso garantire che non è sempre facile farne accettare l’emissione) sono più o meno evasori dell’operaio o del pensionato che nel tempo libero imbiancano salotti e camere da letto?  E la visita nello studio privato del professionista, magari per poi avere una corsia preferenziale per il ricovero nella struttura pubblica? La grande evasione non può essere un alibi per evadere poco, ma dell’Olanda che si oppone all’Italia con rigore calvinista ma si comporta come un paradiso fiscale (raggiungibile con più facilità che non le isole Cayman) ne vogliamo parlare? E della FIAT che diventa FCA e proprio in Olanda trasloca? E di Amazon che le (poche) tasse le paga in Irlanda? Ripeto, non si tratta di alibi, non si tratta di giustificare comportamenti scorretti con “ma lui di più!”, si tratta di giustizia.

Riguardo la burocrazia mi vengono alla mente due aspetti recentissimi, proprio nel  momento in cui meno ce ne sarebbe bisogno, che fanno ben poco sperare:

Il bizantinismo di norme e decreti confusi, contrastanti e difficilmente applicabili. Il mio codice ATECO mi permette di lavorare secondo il DPCM ma non secondo il DR; e semmai c’è la deroga! È sufficiente inviare alla Prefettura una “preventiva comunicazione”, un’autocertificazione in cui si dichiara di far parte, anche indirettamente, di una filiera essenziale, si rimane aperti fino a ordine contrario,  non sono previste sanzioni e comunque le Prefetture sono subissate di richieste (105.727 a metà della scorsa settimana) che non riescono ad evadere.

L’affollamento di strutture in lotta contro il coronavirus. Sto raccogliendo un po’ di pensieri su queste giornate (sì, è una minaccia di un prossimo scritto), queste in anteprima le righe che dedico alla questione:  Comincia a preoccupare e preoccuparmi l’affollamento nelle strutture decisionali. Dunque, oltre al Governo con i suoi Ministeri, Regioni e Comuni che vanno da sé, la Protezione Civile di Borrelli,  il comitato tecnico-scientifico con (tra gli altri) Brusaferro e Ippolito, il consulente di Roberto Speranza Walter Ricciardi,  il commissario per l’emergenza Arcuri con il suo team di 39 persone, il gruppo di 74 esperti della ministra Pisano che dovrebbero individuare l’APP di tracciamento, la task-force di 17 componenti guidata dal supermanager  Colao che, per evitare la quarantena,  lavorerà da Londra dove abita. Spero che le sue video conferenze funzionino bene, io faccio fatica a bere l’aperitivo con gli amici.

             Vocazione territoriale. Nulla da aggiungere. Sarà molto difficile che i livelli alti della politica internazionale riusciranno a realizzare quel complesso di necessarie riforme per le quali sono indispensabili strategie comuni, collaborazione, visioni ampie e prospettiche. Maggior probabilità di successo avrebbero interventi coordinati a livello territoriale.  Modalità di intervento che il nostro territorio ha progressivamente e colpevolmente abbandonato. Ora la barca rischia di affondare, possiamo forse salvarci se ci mettiamo tutti a mantenere l’equilibrio e a remare nella stessa direzione, se ci accapigliamo invece in un vano “si salvi chi può”, tanto vale che l’orchestra del Titanic cominci a suonare.

Vedremo come andrà, spero ma non mi illudo. Non credo che #andratuttobene e il conto lo pagheranno ancora i più deboli. Come sempre. Forse questa volta si incazzano un po’ di più ma l’avversario è ben strutturato.

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