UNA PROVINCIA AUTONOMA MA DISUNITA di Matilde ZANNI (*)

(*) Matilde Zanni si è laureata nel settembre scorso all’università di Torino in Scienze internazionali, per lo sviluppo e la cooperazione con una tesi dal titolo “Prospettive di sviluppo locale. La transizione del modello economico del Verbano Cusio Ossola.” Di questo lavoro, che ricostruisce con puntualità e passione le vicende socio-economiche del nostro territorio, pubblichiamo in forma di articolo la parte dedicata alle potenzialità e alle difficoltà della provincia del Vco, oggetto in queste settimana di analisi da parte di Verbaniasettanta. Il lavoro integrale di tesi si può leggere qui.

Già dalla ricerca dell’Università Bocconi del 1984, il tema dell’autonomia amministrativa provinciale era stato richiamato dagli attori locali come una prospettiva strategica necessaria per lo sviluppo del territorio. Il primo passo verso questa autonomia fortemente desiderata avvenne nel 1992, con l’istituzione della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Negli anni, poi, si è autonomizzata la presenza sul territorio anche di altri enti, come la Camera di Commercio, la sede dell’INPS, il Distretto Turistico dei Laghi con una ATL specifica, e altri. I testimoni intervistati valutano tuttavia di fatto negativamente questo processo, ribadendo come il territorio e la sua stessa classe dirigente non siano in realtà mai stati capaci di creare effettivamente un sistema di cooperazione integrato e condiviso, chiudendosi invece nei campanilismi delle singole realtà locali. C’è chi cita una sorta di “tic dello scozzese”, uniti sotto al nemico prima, per poi far prevalere i campanili non appena si ottiene l’indipendenza, o chi descrive la dinamica come un “rionalismo da montanari”, pur riconoscendo l’oggettiva difficoltà anche geografica di un territorio come questo, che non presenta alcun punto di riferimento centrale univoco sia da un punto di vista geografico che demografico. I sinonimi raccolti durante le interviste per descrivere il fenomeno sono molto vari, ma tutti portano alla medesima lettura del problema: il territorio ha dimostrato di non aver meritato la Provincia, pur essendo questa una buona opportunità, che avrebbe potuto favorire i processi decisionali locali; al contrario, dal giorno immediatamente successivo alla sua istituzione fino a oggi è nato un dibattito continuo su qualsiasi competenza provinciale, dalla scelta della città capoluogo nel ‘92 alla questione della locazione dell’ospedale unico oggi.

La valutazione negativa dei testimoni non riguarda tuttavia l’esistenza dell’ente provinciale in sé, che al contrario viene riconosciuto nella maggior parte dei casi come un soggetto potenzialmente utile per il territorio, un segmento della politica amministrativa che dovrebbe avere il compito di selezionare una classe dirigente in grado di pensare in modo prioritario allo sviluppo del territorio nel suo complesso, prendendosi cura del sistema in intesa con gli altri attori locali, incarnando quel ruolo di cabina di regia centrale percepito da tutti come assolutamente necessario ma assente. Esistono, secondo quanto emerso dalle interviste, tre ragioni alla base dell’assenza di questa cabina di regia centrale. La prima, che è sicuramente una causa endogena legata alla mentalità e alla cultura interna del territorio, sta nella mentalità dei campanili e dei localismi appena citata. La seconda ragione si può trovare invece in fattori esogeni, che hanno a che fare con il panorama politico nazionale degli ultimi anni, e che hanno portato a una ristrutturazione e limitazione delle competenze degli enti locali. Per quanto riguarda la Provincia, in seguito alla Riforma Delrio del 2014, si perde l’elettività delle cariche dirigenti, e di conseguenza la rappresentanza democratica e la legittimazione stessa dell’ente; sono venuti a mancare anche i finanziamenti da investire nelle politiche e per la retribuzione della classe dirigente (probabilmente determinando così una minore professionalità). Di fatto, le riforme istituzionali raccontano la storia di un ente che si è svuotato delle sue potenzialità, fino ad arrivare al dissesto finanziario.

Una storia analoga l’ha vissuta poi anche la Camera di Commercio, che secondo qualcuno degli intervistati avrebbe in realtà potuto incarnare quel ruolo di regia di cui si parlava precedentemente: non è un caso che il primo piano strategico del territorio fosse stato promosso proprio da questo ente, andando forse anche oltre le proprie competenze pur di portare gli attori locali a un livello di discussione più ampio. Questo potenziale percorso è stato a prescindere bloccato da altre più recenti riforme istituzionali, come la riforma Madia del 2015. Attualmente, la CCIAA del VCO è in una posizione di stallo, per via della presenza di una norma che detta l’unificazione con le camere di Novara, Biella e Vercelli, a cui tuttavia la Regione Piemonte ha fatto ricorso in Corte Costituzionale; la situazione in questo momento è ovviamente molto faticosa e non molto gestibile per via di questa incertezza generale. Infine, c’è una terza ragione spesso citata dagli intervistati: la questione della competenza della classe dirigente locale, sicuramente connessa nelle sue radici alle altre due ragioni già citate. Il dato più volte riportato è l’assenza in anni recenti di una classe politica dirigente a livello provinciale, connessa al territorio e competente nel creare un’identità territoriale forte e una cooperazione da cui ripartire per fare rete e fare sistema, punti di snodo basilari per un percorso di sviluppo.

Il fallimento più grosso della provincia, in quanto sia territorio che istituzione, è stato quello di non essere riusciti a costruire una classe dirigente coesa nel territorio; non era tanto per una mancanza di fiducia nella validità della proposta strategica, ma proprio nel non andare neanche a usarla, continuando a leggere ogni territorio come sé stesso. La verità è che il Verbano-Cusio-Ossola come entità territoriale vera non ha una sua identità, o meglio, chi avrebbe dovuto aiutare a costruirla spesso è invece chi ha fatto in modo che non ci fosse, rimanendo concentrato sulla propria piccola parte. Sarà forse banale, ma credo che i territori che più hanno conosciuto uno sviluppo in questi ultimi vent’anni sono quelli che si sono riconosciuti in un’identità forte, che hanno riconosciuto le proprie stigmate”. (Intervista n° 3, Segretario generale CCIAA VCO)

In questo discorso si inserisce anche la problematica più ampia e generale sulla politica che vive di progetti a breve termine, senza concepire la possibilità di investimenti di lungo periodo che produrranno risultati spendibili magari dopo anni, impedendo così l’attuazione di una vision strategica comune. La difficoltà principale rimane comunque quella dell’assenza di una cooperazione provinciale efficace, difficoltà che si dimostra ancor più sentita se associata al tema della perifericità del territorio, e della lontananza dai centri decisionali. L’analisi di questa tematica è molto interessante, poiché la visione dei testimoni intervistati si divide quasi perfettamente in due schieramenti dalle opinioni contrapposte. Da un lato, c’è chi sostiene che la lontananza dai centri di potere abbia da sempre e ancora oggi comportato uno svantaggio molto grave per un territorio come il nostro, che non riesce a essere rappresentato e dunque neanche a portare avanti le proprie istanze. Dall’altro, c’è chi non condivide in alcun modo quello che chiama “il dramma dell’abbandono”, quest’idea per cui il territorio sia stato dimenticato, citando piuttosto tutta una serie di opportunità fornite dalla Regione nel corso degli anni, che poi però il territorio stesso non ha saputo sfruttare. La radice di questa incapacità a cogliere il supporto anche dall’esterno viene riportato proprio a quella incapacità, interna e non esterna, di fare sistema e di richiedere sostegno per politiche integrate ed efficaci a livello unitario. I sostenitori di questa seconda visione affermano anche che spesso il tema della perifericità della provincia è stato utilizzato come alibi per le incapacità cooperative e per la mancanza di volontà decisionale; sotto questo punto di vista, la posizione di confine del territorio viene proposta in una visione alternativa: non come “periferia” dimenticata, ma come “cerniera” tra i vari e ricchi sistemi territoriali circostanti (due cantoni svizzeri, due regioni, tre province, due Stati).

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