UNA PROVINCIA CHE MUORE DOPO TRENT’ANNI DI PASSIONE

Le ragioni autentiche e ancora attuali della nostra provincia risalgono a più di trent’anni fa, quando la classe politica locale e nazionale era cosa ben diversa da quella attuale. Abbiamo dilapidato un patrimonio di passione, di competenze e di risultati. Ma ogni comunità seleziona la classe politica che si merita.

Ancora non sappiamo se la Provincia del Vco riuscirà a sopravvivere alla “manovra di Ferragosto” o se ci lascerà le penna, con tutte o parte delle Amministrazioni “gemelle” d’Italia. In attesa del verdetto, qualche (mesta) considerazione s’impone. Che si salvi o no, il giudizio su trent’anni di sogno provinciale è controverso e problematico. E forse irrimediabilmente negativo. La marcia verso la provincia del Vco era iniziata sul finire degli ani ’70, quando l’istituzione per volontà regionale dei comprensori aveva innescato un fecondo e significativo dibattito sull’opportunità o meno di creare quello che già allora veniva chiamato l’ente intermedio tra Comune e Regione. Il Comprensorio del Vco (o dell’Alto Novarese) si candidava a questo ruolo, estendendosi da Meina e Orta sino a passo S. Giacomo. La nostra grande tradizione di servizi associati su base comprensoriale (oggi diremmo provinciale) nasce da quell’intuizione: il Consorzio Basso Toce (ora ConSer Vco) per lo smaltimento dei rifiuti e il trasporto pubblico; i consorzi e le società per la gestione di acquedotti e depuratori; la società (Saia) per il recupero e il rilancio delle aree industriali dismesse; le Unità Socio-Sanitarie Locali; i Distretti Scolastici; il Consorzio Informatizzazione Servizi Pubblici (Cisp). E altro ancora

Il Comprensorio dell’Alto Novarese ebbe la straordinaria funzione di mostrare in concreto che la specificità morfologica e socio-economica del Vco non era vuota rivendicazione declamatoria, ma autentica opportunità di crescita per un’area caratterizzata da molti elementi di omogeneità: il territorio montano, la presenza di grandi laghi prealpini a naturale vocazione turistica, il diffuso insediamento di piccoli municipi, la robusta tradizione industriale e manifatturiera, la prestigiosa rete formativa di istituti scolastici di media superiore, l’abitudine sperimentata a “pensare” i servizi in una dimensione sovracomunale e consortile. Rivelatasi impercorribile già allora la strada di abolire le Province e di sostituirle – come “ente intermedio tra Comune e Regione” – con i Comprensori, il Vco chiese che la feconda esperienza di autonomia, di programmazione e di gestione generata dal Comprensorio venisse riconosciuta e consacrata con l’istituzione di una nuova Provincia. A partire dai primi anni ’80 in tutti i Comuni dell’ex Comprensorio vennero approvate Deliberazioni con le quali si chiedeva l’istituzione della Provincia di Verbania, ritagliata sui confini dell’ex Comprensorio del Vco. Una classe politica di prim’ordine (Scalfaro, Reviglio, Zolla, Motetta, Bodrato, Nicolazzi, Del Ponte..) assecondò a valorizzò a livello parlamentare lo spirito unitario e la coesione territoriale che il Vco nel decennio ’80-’90 seppe esprimere. Fu così che la legge 142 del giugno 1990 riconobbe le nuove province di Rimini, Prato, Biella, Verbania e Lecco.; e nei primi mesi del 1992 furono formalmente istituite (con l’aggiunta in extremis di Vibo Valentia a Crotone) con specifici Decreti.

Ma fu proprio nel biennio ‘90-‘92 che si posero le basi della successiva, ventennale problematicità della nuova provincia. La fortissima resistenza della provincia “madre” di Novara a subire l’amputazione del Vco si saldò con le rivendicazioni localistiche post-Uopa di una parte dell’Ossola e con le lotte intestine dei partiti, all’interno dei quali di andava traumaticamente emancipando una classe dirigente “nordista”. Da questo mix nacque il “biennio orribile” delle battaglie per il doppio capoluogo VB/DM, per il cambiamento del nome (da provincia “di Verbania” e provincia del “Verbano Cusio Ossola”), per il mantenimento nella provincia “madre” di Comuni del Basso Verbano, del Cusio e del Vergante, per i referendum “a tappeto” contro l’adesione alla nuova provincia. Quell’impazzimento collettivo segnò profondamente il nuovo ente e vanificò quasi completamente lo sforzo meraviglioso del quindicennio 1975-1990.

La provincia iniziò a muovere faticosamente i primi passi in un clima di risentimento e di insensata rivalità interna; un “clima” che è stato la cifra politica prevalente di questo ventennio. Il contestuale crollo della “prima repubblica” e l’affermarsi dell’egemonia elettorale ormai ventennale di leghisti, forzisti e pdiellini ha “regalato” al Vco una classe politica completamente inadeguata alla sfida “provinciale”: deputati e senatori, consiglieri e assessori regionali “del territorio” sono stati numerosi come mai nella storia di quello che fu (e forse tornerà ad essere) l’Alto Novarese. E mai come in questo ventennio la loro presenza è stata inutile, quando non apertamente dannosa, per le sorti della provincia del Vco.

Mammola, Manfredi, Racchelli, Preioni, Polli, Zacchera, Montani, Zanetta, Cattaneo, De Magistris. Ricordiamoci (anche) questi nomi, quando ci toccherà di recitare il De profundis per la provincia del Vco

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