VERBANIA DOPO IL TORNADO. 1

I nodi del lavoro e del reperimento di risorse finanziarie costituiscono il banco di prova di una classe politica che vuole essere all’altezza della drammatica sfida che nei prossimi anni attende Verbania, “città sussidiata”.

In quattro anni Verbania è stata spazzata da tre tornado: quello atmosferico del 25 agosto 2012, quello politico-amministrativo iniziato nel giugno 2009 con le Amministrazioni destro-leghiste in Comune, Provincia e Regione, quello economico-occupazionale indotto dalla crisi partita alla fine del 2008. Il primo ha causato imponenti danni al patrimonio cittadino (i parchi, gli edifici pubblici, il porto turistico lesionato, colpevolmente trascurato e affondato un anno dopo); il secondo ha trascinato prima il Comune nel baratro del CEM, ha inanellato poi i fallimenti a ripetizione del cambiaverbania, infine ha mortificato la città con la tragicommedia delle dimissioni e del corvo e con la miserevole vicenda dei pasticcini, delle patatine fritte e dei caffé consumati dai consiglieri e messi in conto alla Regione; il terzo ha portato al sostanziale dissolvimento del residuo tessuto industriale cittadino, ben simboleggiato dalla crisi irreversibile di due tra le più importanti realtà manifatturiere (ma non sono le sole) come Acetati e Cover e dall’azzeramento di ogni prospettiva occupazionale per i giovani e per coloro che, non più giovani, hanno perso in questi anni il loro lavoro.

La Verbania che le Amministrazioni di Centrosinistra avevano contribuito in maniera determinante a costruire tra i primi anni ’90 e il 2009 oggi non esiste più. L’ultimo quadriennio ha fatto tabula rasa di una città che aveva costruito sull’equilibrio di industria, terziario, commercio e turismo la propria identità dopo la crisi drammatica della grande industria negli anni ’80; della città della buone pratiche amministrative in materia di ambiente, rifiuti, scuola e servizi; della città capoluogo di provincia impegnata a fare crescere armoniosamente un territorio difficile e attraversato da istanze localiste.

La cesura è stata profonda e non rimarginabile. E per questo motivo la stagione che si aprirà con le elezioni comunali di primavera richiederà, a coloro che si candideranno per il Centrosinistra alla guida della città, un surplus di intelligenza, di passione, di ideazione, di progettualità. A mio parere, questo surplus dovrà essere finalizzato al perseguimento di due obiettivi: la creazione di nuove opportunità di lavoro e il reperimento di nuove risorse finanziarie secondo logica di equità e giustizia.

Nel giro di pochi anni Verbania ha iniziato a sperimentare massicciamente la condizione – certo non invidiabile – di città sussidiata: ovvero, una città che vive di pensioni, di pubblico impiego, di terziario commerciale di rifugio; di turismo invisibile, di redditi maturati  altrove (frontalierato, pendolarismo lavorativo, emigrazione professionale dei giovani). Una città che vive (faticosamente) grazie a una ricchezza che sempre più proviene dall’esterno. E’ il lavoro che non c’è (più) il nodo da sciogliere per dare futuro alla nostra comunità. E in una città che si sta rapidamente e drammaticamente impoverendo diventa centrale la questione delle risorse, che sono indispensabili per assicurare almeno il mantenimento dello standard di buona amministrazione che – al netto dei tre anni e dieci mesi di destro/leghismo – abbiamo costruito nei decenni passati. Non possiamo più permetterci di perdere un solo euro in evasione fiscale, in burocrazia inefficiente, in rendite di posizione, in piccole sacche di privilegio. Dunque, equità, giustizia e rigore applicati ad ogni ambito della gestione amministrativa.

Di tutto ciò torneremo a parlare.

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2 risposte a VERBANIA DOPO IL TORNADO. 1

  1. federico minioni scrive:

    Ci sono tante verità ma ce ne è una che non viene mai presa in considerazione e che sta cambiando da anni il volto economico di Verbania e di tante altre città piccole o grandi che siano. Dal punto di vista economico, industriale e commerciale in Italia si sono fatti tantissimi errori (alcuni purtroppo sono ancora di più ampio raggio). Nel piccolo di Verbania faccio solo 1 esempio: 40 anni fa la città aveva 35000 abitanti e zero supermercati e tanti negozi, 20 anni fa gli abitanti erano 30.000 e c’erano 2 supermercati, e tanti negozi. Oggi ci sono 9 supermercati, tanti negozi in meno e 31.000 abitanti. Se pensiamo che siamo una città di lago che non ha una pescheria, questo dovrebbe far riflettere non poco. In ogni centro abitato dove si sono costruiti centri commerciali (seppur a prima vista si “festeggiava” per i nuovi posti di lavoro creati), si è visto una moria incredibile di piccoli o grandi negozi, alimentari e non, riducendo di conseguenza la forza lavoro perché il numero di occupati nei negozi piccoli che sono stati chiusi era di gran lunga superiore ai posti lavoro dei centri commerciali. Il danno è enorme e attraversa diversi fattori nella società. Una nazione con 8000 comuni avrebbe potuto svilupparsi in modo diverso da come è andato negli ultimi 40 anni. Nel “piccolo” di Verbania l’errore più grande è stato concentrare all’interno della città i centri commerciali (o supermercati come preferite chiamarli), pensando che portassero lavoro e invece è accaduto il contrario (tantissime attività si sono chiuse anno dopo anno, e tante fanno fatica a stare a galla, un’azienda grande come quella che gestisce un supermercato oltre a portare i soldi fuori dalla città, fa di tutto per pagare meno tasse possibile -sono esempi limpidi aziende sempre più grandi come amazon, apple, ebay, google e tante altre meno visibili che generano vendite in Italia e pagano le tasse, quando va bene in Lussemburgo, oppure alle isole Cayman). Un grande supermercato che a Verbania quando ha aperto ha “regalato” alla città la realizzazione di 3 rotonde a proprie spese non ha fatto di certo l’opera da buon samaritano; ha semplicemente semplificato l’arrivo di più traffico veicolare verso se stesso – prima sulla stessa strada passavano 1000 macchine l’ora, ora ne passeranno 3000. Guardando in modo più ampio l’effetto “supermercati” ci possiamo rendere conto che ha cambiato le abitudini delle persone (passeggiare nei centri commerciali, invece che in mezzo alla natura – e qui non possiamo di certo lamentarci in fatto di natura), dover utilizzare la macchina per andare a fare la spesa (per chi ce l’ha -pensiamo agli anziani che devono muoversi a piedi o con i mezzi pubblici per andare a comprare il pane o il latte), e quindi costi per carburante, e in generale costi di gestione dell’auto, tempo per muoversi – anche decine di chilometri per andare a fare la spesa – code per parcheggiare, per uscire e code all’interno dei supermercati per dover pagare. Il fatto di concentrare i luoghi del commercio (e ahimé anche di pseudo svago), ci costringe a dover compare di più per evitare di dover tornare + volte, ci costringe a comprare cibi con più plastica, carta, metallo, cibi che si conservano e cibi freschi (confezioni in plastica); e non è una mia idea ma un dato consolidato a livello nazionale, il 40% del cibo che compriamo viene buttato via: cibi scaduti, andati a male, cibi comprati in eccesso; sommato questo alla quantità di materiale per confezionarlo, ci ritroviamo ad avere più rifiuti da smaltire (e poi ci lamentiamo dei costi della raccolta differenziata), e al tempo stesso pensando di aver risparmiato soldi non ci accorgiamo che la vita ci costa di più. Poco tempo fa se ti serviva 1 etto di prosciutto facilmente potevi uscire di casa a piedi ed entrare in una macelleria, comprarlo, uscire andare dal panettiere comprarti 2 michette fresche e con solo 2 fogli di carta, consumare tutto in giornata e avere pochissimo rifiuto. Oggi compriamo il prosciutto nelle vaschette di plastica, con una bella etichetta di plastica applicata sopra, più l’etichetta di carta adesiva per il codice a barre e il prezzo, è stata tagliato alcuni giorni fa chissà dove, ha fatto magari centinaia di chilometri, se va bene, prima di arrivare nel banco vendita, il sacco per la raccolta della plastica è sempre più grande. Mangiamo senza tenere conto della stagionalità dei prodotti (e i supermercati se ne fregano se le mele arrivano dal cile o le arachidi dagli stati uniti o i limoni dal marocco, non interessa loro che per spostare determinata merce, che potrebbe anche non essere venduta in un determinato periodo dell’anno, inquiniamo il mondo, importa soltanto vendere il più possibile). Allargando lo sguardo ci rendiamo conto di indossare magari un maglione, di marca, pagato caro, fatto in tunisia (dove la manodopera costa poco), i pantaloni, facilmente, sono fatti in turchia o in india, vediamo le ns. scarpe e arrivano dalla tailandia, poi leggiamo l’etichetta della maglietta e ci accorgiamo che proviene dal bangladesh. Chi ha spostato la produzione ha pensato esclusivamente a spendere meno e guadagnare di più, se ne è fregato di inquinare per spostare i suoi prodotti, e noi paghiamo di più qualcosa che potrebbe essere fatto qui senza inquinare. E’ drammatico se pensiamo che tante cose che potrebbe essere fatte vicino a te, provengono se va bene da 5000 km di distanza se non oltre (vedi Cina: il paese più inquinato al mondo, tra l’altro). Pensiamo che questo sviluppo ci abbia arricchito e al tempo stesso ci faccia comprare cose che costano meno, e invece è esattamente l’opposto. Ci accorgiamo che i posti di lavoro nell’industria continuano a calare e questo oltre che essere il frutto dello sviluppo tecnologico, è anche la conseguenza quasi irreversibile di aver delocalizzato ogni tipo di produzione, soprattutto quelle che non dovrebbe aver senso spostare. Tutto questo è la conseguenza dello sviluppo della società che economia e politica hanno fatto negli ultimi 50-60 anni. Ci sarà forse da chiedersi se qualcuno probabilmente ha sbagliato qualcosa?
    Tornando a Verbania: la città si impegna economicamente nell’opera di un teatro-centro congressi da 20 milioni di euro, e al tempo stesso ci si accorge che il settore congressi è in forte calo -basta chiedere a qualche albergatore poco distante dalla città. La politica si muove male e lentamente più dell’economia e invece dovrebbe essere quella che guida le scelte e disegna il futuro. Verbania vede alcuni alberghi chiudere i battenti per sempre, alla faccia dello sviluppo turistico. Vede ridursi i posti di lavoro perché industrie chiudono (per vari motivi). Vede chiudere piccole e medie aziende schiacciate da tasse che crescono continuamente, vede concentrarsi il commercio verso imprese che esportano i loro guadagni altrove, impoverendo ulteriormente la città.
    Mi rendo conto che cambiare rotta, veramente intendo, è alquanto un’impresa quasi impossibile; tante scelte che incidono nella società avvengono a livelli più alti (regione e stato), poche sono le scelte che possono veramente dare impulso alla città partendo dall’amministrazione comunale; ma il fatto che siano poche non determina che bisogna rinunciare. Necessita una vera e nuova visione della città e della società che sappia unire il più possibile le realtà esistenti sul territorio (e allearsi dal punto di vista delle scelte a livello più ampio coinvolgendo altri comuni), l’unione e la condivisione di idee e soluzioni da parte delle associazioni di categoria, di volontariato, economiche a tutti i livelli con chi amministra la cosa pubblica. Incentivare il piccolo e disincentivare il grande, condividere le risorse e collaborare; investire nella città, a tutti i livelli, comprare prodotti realizzati il più vicino possibile al luogo dove si vive (un bell’esempio di aiuto allo sviluppo sostenibile arriva da slow food oppure eataly con la promozione di prodotti a filiera corta); il discorso è valido per il cibo, per i vestiti, e per tante altre cose che utilizziamo ogni giorno.

  2. pierre trincherini scrive:

    Condivido l’analisi di Claudio Zanotti circa “i tornado” che hanno devastato Verbania. L’analisi, di per sè, è un primo, necessario, passo sul cammino intelletuale e propositivo da intraprendere.
    Tempo addietro, stimolato da SEL, era iniziato uno studio che metteva al centro proprio la Questione Lavoro, il problema dei problemi per la nostra città (e non solo). Insieme, si ragionava intorno all’area Acetati (ex), alla potenzialità delle energie rinnovabili, ai possibili incentivi con cui invitare e sostenere una “ricerca” correlata, ecc.ecc…
    Tutto si è spento in una forma di indifferenza che ancora oggi persiste in città quando si parla di “lavoro”, allorchè sembra che questa parola sia sinonimo di fabbrica ottocentesca, che realtà produttiva evochi lo sferragliare e i fumi delle fonderie et similia…In più, è tragicamente cresciuta in città la convinzione circa la sua “vocazione turistica”, definizione con cui si lega mani e piedi all’apertura di qualunque discorso preveda anche un diverso sviluppo. Passata la sbronza dei (circa) tre mesi estivi, durante i quali è frastornata dai campeggiatori, la città assume una veste metafisica: atmosfere rarefatte, piazze vuote che fanno vivere in tre dimensioni i quadri di De Chirico.
    Bene, anzi “male”. Vorrei banalmente dire che chiunque di questo, in apparenza già tribolato, centrosinistra governerà (spero!) la prossima Verbania dovrà necessariamente e subito porsi il problema del lavoro, dovrà porre le condizioni per una ripartenza dell’occupazione in forma stabile per attività che vivano tutto l’anno e non una sola stagione. L’alternativa è quella accennata da Claudio Z.: calo demografico compensato dall’innalzamento dell’età media degli abitanti ormai in maggioranza pensionati, reddito medio pro capite in coda compensato in testa dalla migrazione dei giovani, insomma una città moribonda che boccheggia al sole estivo pensando che il letargo dei rimanenti nove mesi sia l’ineluttabile dono della vita.
    Aggiungo: se quanto sopra è minimamente sensato sarebbe opportuno che i programmi elettorali si esprimessero in merito. Naturalmente con indicazioni non metafisiche.

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