VERBANIA, LA GRANDE CRISI E 30 MILIONI DI EURO

Siamo entrati in un tempo in cui la nostra città chiude una lunga fase della sua storia politico-amministrativa avviata intorno alla metà degli ’90 del secolo scorso e per questa ragione si trova nella condizione – difficile ma esaltante – di immaginare un futuro che possa diventare sostanza progettuale e programmatica dell’azione di governo dei prossimi due o tre decenni, lavorando ad almeno cinque grandi aree di progettazione strategica: l’architettura istituzionale, la trasformazione urbanistica, l’infrastrutturazione viaria, il turismo e l’ambiente, l’economia e il lavoro.

VERBANIAVENTITRENTA

Nel marzo 2020, sollecitati dall’avvio dell’inedita condizione di lockdown, il quartetto di amici che esprime l’artigianale laboratorio di VERBANIAVENTITRENTA iniziava a interrogarsi sul significato della politica “di territorio” in tempi di pandemia, nella consapevolezza che “dopo” (e il dopo, ahinoi, non è ancora arrivato) nulla sarebbe dovuto continuare come “prima”.  In questo primo anno di lavoro i contributi ospitati sulle pagine virtuale di VB70 hanno toccato i nodi più delicati del dibattito politico-amministrativo cittadino e provinciale, avendo di mira non il confronto/scontro dialettico tra Maggioranza e Minoranza, ma l’approfondimento di questioni che guardano al più ampio orizzonte temporale che abbraccia il decennio appena iniziato, pur consapevoli che la dialettica tra schieramenti costituisce un elemento imprescindibile dell’attualità politica.

La ricorrenza anniversaria ci ha pertanto suggerito di raccogliere in un fascicoletto virtuale gli articoli di VB2030 che si sono susseguiti nei mesi scorsi, a beneficio di chi volesse ripercorrerne sistematicamente lo sviluppo e ricapitolarne i contenuti (leggi e scarica qui il testo). Crediamo che possa essere un esercizio intellettuale non inutile, perchè siamo entrati in un tempo in cui la nostra città chiude una lunga fase della sua storia politico-amministrativa avviata intorno alla metà degli ’90 del secolo scorso e per questa ragione si trova nella condizione – difficile ma esaltante – di immaginare un futuro che possa diventare sostanza progettuale e programmatica dell’azione di governo dei prossimi due o tre decenni.

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UNA CRISI “BENEDETTA”.

Un osservatore attento delle dinamiche socio-economiche e politico-amministrative di Verbania non avrà difficoltà a riconoscere che sta in questi mesi completandosi quell’idea di città che proprio trent’anni fa iniziava a prendere forma e che nell’ultimo decennio ha sperimentato un’evidente accelerazione resa possibile da una straordinaria iniezione di risorse finanziarie mai conosciuta in passato per dimensioni e concentrazione temporale. Quest’idea di città, nata dalla riflessione convergente dei partiti e dei movimenti civici di Centrosinistra e cresciuta con le Amministrazione dello stesso “colore” politico che si sono succedute a Palazzo di Città, ha saputo realizzare grandi servizi (i servizi sociali, il ciclo idrico integrato, il ciclo dei rifiuti e la raccolta differenziata, la depurazione del lago, l’abbonamento di municipalità per il trasporto pubblico…) e grandi opere finalizzate alla viabilità interna, alla mobilità ciclopedonale, alla riqualificazione/ripavimentazione dei centri storici, alla cultura, alla qualità ambientale…, nonostante per un lungo periodo sia stata costante la difficoltà di reperire risorse finanziarie in grado di sostenere un’idea così ambiziosa.

Poi è arrivata la crisi di sistema del 2008/2009, che da un lato ha imposto anche alle Amministrazioni virtuose il divieto di finanziare le opere con la contrazione di mutui, ma dall’altro ha individuato nei singoli capoluoghi di provincia (e non più nelle aggregazioni sovracomunali) il soggetto privilegiato a cui destinare imponenti finanziamenti statali e comunitari a fondo perduto per contrastare la disoccupazione e il calo del PIL attraverso l’apertura di cantieri per opere pubbliche. Da questo punto di vista la crisi per Verbania –  dotata di un “pacchetto” di progetti di pronta esecuzione – è stata una benedizione, che si è tradotta in finanziamenti per poco meno di 30 milioni di euro in una decina d’anni: con i fondi del Pisu (12 milioni nel 2010) si è costruito il nuovo teatro, pur se irrimediabilmente sfregiato da localizzazione e dimensioni sbagliate; i fondi del Bando Periferie (8 milioni) ci regalano la pista ciclabile San Carlo-Beata Giovannina, la grande spiaggia dei Tre Ponti e il Movicentro di Fondotoce; i Fondi europei 2014-2020 (5,5 milioni) hanno permesso il recupero e la riqualificazione di immobili prestigiosi (palazzo Viani-Dugnani, palazzo Biumi-Innocenti, palazzo Simonetta); la dotazione del Programma Territoriale Integrato (1,7 milioni) è stata destinata alla pista ciclabile Costa Azzurra-San Carlo; un antico finanziamento di Fondazione Cariplo ora finalmente utilizzabile (1,5 milioni) è impiegato per la ristrutturazione di Villa San Remigio.

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LA VERBANIA DI META’ SECOLO

L’ormai imminente avvio del piano Next Generation EU, varato dall’Unione Europea lo scorso luglio a contrasto della pandemia e reso operativo con il Recovery Plan, rappresenta la prima, grande occasione per iniziare a riempire il foglio bianco della Verbania (e, con essa, dell’intero VCO) del prossimo quarto di secolo (leggi qui).  A nostro parere sono almeno cinque le grandi aree di progettazione strategica sulle quali impegnare l’azione politico-amministrativa dei prossimi due/tre decenni.

Architettura istituzionale. E’ irragionevole e inimmaginabile che il nostro territorio possa vincere qualunque sfida (e a maggior ragione quella di Next Generation) se non verrà radicalmente riformato l’assetto istituzionale e amministrativo lungo tre direttrici, alle quali VB2030 ha dedicato già lo scorso anno alcuni riflessioni (qui e qui): la drastica riduzione dagli attuali 74 Comuni a una dozzina di Amministrazioni locali morfologicamente e demograficamente equilibrate; la soppressione delle Regioni intese come scimmiottamento deteriore dei modelli della politica nazionale; il rilancio delle Province come livello intermedio di organizzazione, programmazione e gestione di servizi territoriali. Anche Verbania, che pure vanta lo status (provvidenziale in questi dieci anni, come abbiamo mostrato sopra) di capoluogo di provincia, non può più pensare di bastare a se stessa e deve immaginarsi all’interno di un nuovo, grande e baricentrico Comune tra lago e basso corso del Toce.

Cimiteri urbanistici. Quanti hanno avuto la pazienza di seguire le riflessioni ospitate su queste pagine, non potranno non convenire sul fatto che la destinazione e la trasformazione dei suoli rappresenta un nodo ineludibile di qualunque idea di città che guardi al lungo periodo. In questa prospettiva il sostanziale rifacimento del Piano Regolatore Comunale è una sfida alla quale porre mano, tenuto conto che l’attuale PRG è stato approvato in via definitiva nel gennaio 2006, ma sconta un’elaborazione e una visione complessiva della città che risale all’inizio degli anni ’90 e che si è, almeno parzialmente, realizzata. Il nodo urbanistico più delicato e complesso resta quello che già si palesava a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, ovvero la crescente proliferazione all’interno della città di aree produttive dismesse e già avviate a un accelerato degrado ambientale ed edilizio. Nel corso degli ultimi quindici anni il processo si è ulteriormente aggravato, estendendosi dalle aree industriali a quelle floricole, artigianali e ora anche commerciali, come è possibile verificare anche solo attraversando virtualmente la città con le mappe di Google. Il PRG vigente ha potuto dare risposte solo parziali e limitate (leggi qui i numeri e le ragioni) e il suo ripensamento deve muovere da un interrogativo di fondo: può permettersi la nostra città di sacrificare suoli vergini (e dunque non edificati, permeabili, naturali) mentre vastissime aree urbane già compromesse da processi edificatori risultano di fatto abbandonate, inutilizzate e spesso intollerabilmente degradate dal punto di vista edilizio e ambientale? La domanda è retorica e la risposta è “no”.

Una prima risposta consiste nel sottoporre tutte le aree edificate/compromesse/degradate, delle quali si considera irrinunciabile la trasformazione, a un regime di concertazione urbanistica “forte”, avviando cioè una stagione di “contrattazione” tanto trasparente quanto puntuale con i proprietari usando le due speculari “leve” a disposizione dell’ente pubblico, quella dell’incentivazione (volumetrica, di destinazione, di attuazione…) e quella della prescrizione anche sanzionatoria (per incuria, per inquinamento dei suoli, per incolumità, per igiene pubblica…), attraverso le quali superare inerzie, pigrizie e furbizie e indurre il recupero per trasformazione dei contesti degradati. “Concertazione forte” significa caricare l’Amministrazione di una triplice responsabilità: fissare, area per area, gli obiettivi di risanamento all’interno di un disegno cittadino coerente e riconoscibile; articolare la graduale attuazione mediante un calendario di priorità; portare  la controparte privata al tavolo del confronto e della contrattazione lavorando con le leve dell’incentivazione e della prescrizione per concertare un reciprocamente soddisfacente e non elusivo percorso di riqualificazione e valorizzazione. Insomma, l’esatto contrario di una concertazione “debole”, nella quale la parte pubblica assume una posizione subordinata e passiva rispetto a quella trainante e rivendicativa della parte privata, tutta protesa a perseguire la massimizzazione dei vantaggi legati agli interventi edilizi e senza riguardi per le ricadute negative in termini di pianificazione territoriale di un processo di progressiva e ingovernabile parcellizzazione urbanistica.

Il primo e più importante banco di prova di questa titanica operazione di ripensamento del territorio è sicuramente l’area ex Acetati, in grado per la sua strategica dislocazione e il suo valore altamente simbolico di esprimere con evidenza la “cifra”, auspicabilmente virtuosa, della riscrittura urbanistica dell’intera città. Ed è per questa ragione che VB2030 ha pensato alle risorse del Recovery come provvidenziale occasione per mettere l’Amministrazione Comunale nelle condizioni di esercitare il pieno dominio sull’intera operazione di rigenerazione.

Infrastrutture viarie. Se l’occasione del Recovery passerà senza alcun finanziamento per il primo e/o il secondo lotto della circonvallazione cittadina così come progettata vent’anni fa, il dibattito ultratrentennale su quest’opera dovrà necessariamente ripartire da zero, archiviando la soluzione di un percorso quasi completamente in galleria (due sotto il Monterosso, una sotto il motto di Biganzolo e una artificiale sotto Renco/Intra alta) che le normative sulla sicurezza hanno reso finanziariamente inavvicinabile: non meno di 250/300 milioni di euro, se si considera che il costo del primo lotto (innesto e galleria di Fondotoce), il solo giunto al livello di progetto definitivo, una decina d’anni fa era stimato intorno ai 50 milioni. Il primo nodo riguarda l’abitato di Intra (non aggirabile in galleria) e in particolare il suo lungolago, sul quale ancora oggi si scarica gran parte del traffico di attraversamento e che non potrà essere risolto se non con il trasferimento del traffico lungo l’asta del San Giovanni, in direzione di Renco/Trobaso o in direzione Possaccio. Il secondo nodo coinvolge invece il tratto Fondotoce-Suna, ove la commistione problematica di strada ex statale 34 e nuova pista ciclabile potrà essere superata o con le due gallerie del Monterosso o con la ripresa dell’antica ipotesi di aggiramento del monte sul tracciato della provinciale Bieno-Santino-Trobaso. Il terzo nodo ripropone la questione solo parzialmente risolta dei parcheggi per liberare dalle auto le due zone turisticamente e commercialmente strategiche del lungolago di Suna-Pallanza e del lungolago di Intra

Turismo e ambiente. La valorizzazione dell’affaccio a lago realizzata negli ultimi vent’anni (creazione/riqualificazione di almeno cinque aree di balneazione, creazione di attracchi per il diporto) deve potersi per un verso completare (porto turistico) e irrobustire (campeggio urbano), mettendo contestualmente a tema  il nodo strategico del rapporto tra preservazione dei contesti ambientali naturali e loro intelligente fruizione turistica e di svago. A buona e futura memoria, i contesti ambientali naturali della città sono tre (Piano Grande di Fondotoce, Monterosso, asta del San Bernardino tra i ponti di Santino e del Plusc), morfologicamente interconnessi e caratterizzati da specificità che rendono complessa e impegnativa tanto la progettazione di lungo periodo di ciascuna di queste aree quanto il loro inserimento razionale e lungimirante in un piano unitario di valorizzazione turistico-ambientale.

Ma il solido “turismo di lago” deve guardare con generosità al suo retroterra montuoso – e in primis all’Ossola – con l’obiettivo di mettere le sue strutture ricettive a servizio del numericamente asfittico turismo di montagna, valorizzando servizi e posti letto in quei periodi dell’anno (marzo-maggio e settembre-novembre) in cui è minore la fruizione del lago, ma risulta particolarmente interessante e attrattivo il segmento escursionistico sia wilderness (parco della Valgrande) sia di quota (Val Formazza). Nella prospettiva di un rafforzamento della dotazione strutturale, che costituisce un presupposto importante per l’ampliamento dell’offerta, mantiene un’indiscutibile attualità la ripresa del progetto di recupero a resort del complesso edilizio dell’ex colonia Motta (approvato nel 2007 e poi abbandonato dai proprietari) e la riproposizione (magari “filologica”) in area ex Eden di una struttura alberghiera di fascia altissima destagionalizzata: si completerebbe così nella fascia centrale del lago Maggiore l’offerta pensata sulla quadruplice articolazione di turismo en plein air, turismo di comitiva, turismo di resort e turismo esclusivo. Insomma, tra le “sfide del decennio” della città possiamo annoverare quella di  migliorare i due indicatori turistici fondamentali (media di pernottamento e durata della stagione), portando gradualmente il primo da 3,5  a 7 giorni e il secondo da cinque/sei a nove mesi.

Economia e lavoro. Questa area di progettazione dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di quanti aspirano ad accreditarsi come “classe dirigente” della città, siano essi amministratori locali, esponenti politici, imprenditori di rilievo, intellettuali e uomini di cultura, rappresentanti di categorie produttive, di organismi sindacali e di realtà associative. E’ difficile non condividere l’analisi di quanti considerano Verbania una città “sospesa”, che da oltre un decennio ha cessato di “leggere” la sua condizione socio-economica e quindi di interrogarsi sulle trasformazioni (demografiche, produttive, occupazionali, urbanistiche, reddituali…) che incessantemente avvengono e che reclamano di essere conosciute, analizzate, governate e indirizzate all’interno di un progetto complessivo che risolva i nodi critici e valorizzi le potenzialità e le opportunità che il cambiamento porta sempre con sé. E questo è il compito che spetta a una classe dirigente degna di questo nome.

Nel corso degli ultimi novant’anni Verbania ha conosciuto tre fasi. La prima, lunghissima, è stata quella industriale, “battezzata” del ’29 con l’insediamento di Rhodiaseta, cresciuta nei decenni successivi insieme alla città grazie alla vivace e diffusa presenza di numerosi opifici e declinata rapidamente e drammaticamente tra i primi anni ’70 e la fine degli anni ’80.

La seconda fase è nata nel crogiuolo della crisi della grande industria, simboleggiata dalla concomitante chiusura di  Montefibre e della Cartiera di Possaccio, e nell’arco di un ventennio (1990-2009) ha ricostruito il profilo di una città economicamente equilibrata, che ha saputo mantenere una presenza significativa di attività industriali e artigianali grazie agli interventi di Gepi e di Saia; accrescere gradualmente il settore turistico con il suo indotto (ristorazione, pubblici esercizi, fruizione di spiagge, diporto..); rafforzare il commercio al dettaglio (soprattutto nel riqualificato centro storico di Intra) insieme a quello della grande distribuzione; sostenere l’artigianato di servizio; ampliare il pubblico impiego con l’istituzione della nuova provincia e il rafforzamento del sistema scolastico e formativo; valorizzare dal punto di vista societario e occupazionale i servizi pubblici locali (ciclo dei rifiuti, trasporto pubblico, ciclo idrico); consolidare il sistema sanitario pubblico e la presenza cospicua della sanità privata. Un dato esprime in sintesi questa condizione complessivamente virtuosa: nel 2007 il tasso di disoccupazione a Verbania era del 3,2%, quasi la metà di quello nazionale (6,1%).

La terza fase prende avvio alla fine dello scorso decennio, in concomitanza con la grande crisi economico-finanziaria globale. Si incrina il virtuoso equilibrio dei settori economici che aveva caratterizzato la fase precedente: perdono occupati il manifatturiero industriale e artigianale (chiusure Acetati e Co.Ver….), l’edilizia e il commercio, mentre si rafforzano il turismo (alloggio, ristorazione, viaggi), i servizi locali e socio-sanitari, le attività professionali e finanziarie. Ma la città assiste passivamente a questi processi, in una condizione di sospensione progettuale e di ibernazione partecipativo-concertativa. Le istituzioni pubbliche locali restano interlocutori riconoscibili (il Comune, ma non la Provincia), mentre gli altri decisori socio-economici territoriali sfuggono a un’assunzione di responsabilità consapevole, abdicando in ciò a una funzione essenziale che la dinamica delle relazioni comunitarie attribuisce loro.

Da una decina d’anni si vive nel limbo. Uscirne è ormai una necessità indilazionabile, perché l’immobilità non ci porterà in paradiso, ma finirà per risucchiarci all’inferno.

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