Per una Pianificazione Strategica d’area: la conurbazione dei laghi

Il dibattito politico-amministrativo sviluppatosi in occasione delle elezioni amministrative del giugno 2004 e le iniziative promosse da Amministrazioni Comunali e dalla Provincia per l’analisi e l’approfondimento delle problematiche legate allo sviluppo del Vco (convocazione degli Stati Generali di Omegna, avvio della riflessione alla pianificazione strategica in diversi Comuni, istituzione di luoghi di verifica e confronto da parte dell’Amministrazione provinciale, la partecipazione associata di più Comuni al Progetto Integrato di Sviluppo Locale, le convergenze tra Amministrazioni sulle problematiche della viabilità statale, il processo di associazione determinato dalla costituzione dell’Ato dell’acqua e dai Consorzi di Bacino per i rifiuti, le politiche sovracomunali in materia di parchi naturali…) ripropongono l’attualità di una riflessione sulle esperienze sovracomunali di pianificazione territoriale e di gestione di servizi che il V.C.O. ha conosciuto in passato. In particolare, è convinzione diffusa e radicata che l’esperienza di governo amministrativo maturata sull’asse Verbania-Omegna, ancora oggi attiva e vitale, possa rappresentare un potente fattore di coesione a servizio della sempre auspicata e mai compiutamente realizzata coesione della provincia e uno strumento di crescita armoniosa e condivisa di comunità locali che, seppur distinte e autonome dal punto di vista amministrativo, di fatto si percepiscono come realtà integrata tendenzialmente unitaria. Questa dimensione territoriale, che si apre ad abbracciare un’area che comprende i Comuni del golfo Borromeo, quelli della fascia Ghiffa-Cannobio e la costellazione di comunità collinari del Verbano e del Cusio gravitanti naturalmente sui centri di riferimento storicamente definiti, dà vita alla conurbazione dei laghi.

1. NASCITA E SVILUPPO DELLA CONURBAZIONE

La conurbazione, che attraversa la parte meridionale della provincia unendo i laghi Maggiore, d’Orta e di Mergozzo, è oggi una realtà urbana visibilmente consolidata. Essa ha cominciato a prendere corpo con il primo periodo di sviluppo industriale, che ha visto l’espansione degli insediamenti produttivi lungo lo Strona, che ha realizzato la tramvia di Omegna-Intra, che ha visto la crescita di alcuni importanti servizi pubblici quali quelli sanitari e scolastici. Nel secondo dopoguerra la conurbazione ha occupato progressivamente il territorio tra le due principali realtà urbane di Verbania e Omegna, generando gradualmente una realtà “a costellazione” rappresentata da piccoli centri collinari del Verbano, del Cusio e della Bassa Ossola portati naturalmente a gravitare su di essa sia dal punto di vista amministrativo che socio-economico.

Ciò è avvenuto con la crescita, in posizione baricentrica, della zona industriale più importante, con lo sviluppo lineare degli insediamenti, residenziali, produttivi e terziari, lungo l’asse formato dalle SS 229 e 34, con lo sviluppo dei servizi, con lo straordinario incremento della mobilità interna, elemento fondamentale delle relazioni e delle attività umane e d’impresa. La progressiva realizzazione della conurbazione ha trovato una prima, significativa e fertile consacrazione a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, quando si sono poste le basi per la costituzione del primo strumento amministrativo concepito, pensato e realizzato in una dimensione deliberatamente sovracomunale: il Consorzio per lo Sviluppo del Basso Toce (CBT).

Nato nel 1971, il CBT è rapidamente cresciuto beneficiando del clima di operoso decentramento amministrativo e di valorizzazione delle realtà territoriali che ha accompagnato l’istituzione delle Regioni (1970). Il conferimento ad un soggetto sovracomunale di competenze precedentemente detenute dai singoli municipi ha costituito risposta adeguata e precoce a due istanze che proprio in quegli anni si manifestavano con crescente evidenza: la crisi del sistema della grande e media industria nell’area del Verbano e del Cusio, con il suo drammatico portato di disoccupazione, cassa integrazione e desertificazione produttiva; la necessità indifferibile di organizzare in maniera razionale e sicura alcuni grandi servizi pubblici cui le singole municipalità non erano più in grado di corrispondere adeguatamente: la depurazione dei reflui, lo smaltimento dei rifiuti, il trasporto pubblico locale. Le risposte a queste istanze sono state rapide, efficaci e convincenti, in ciò beneficiando dell’operosa competenza di una classe politico-amministrativa di grande rilievo.

Nel decennio ’70-’80 la conurbazione del Basso Toce ha pianificato e realizzato obiettivi che, analizzati oggi, appaiono di straordinario valore. Sfruttando la risorse messe a disposizione dalla neonata Regione Piemonte e assorbendo senza troppi danni la negativa esperienza di quella che definiremmo ora una tentata delocalizzazione ante litteram (il trasferimento della Montefibre di Pallanza nella piana di Mergozzo), il CBT ha determinato le condizione per la riconversione produttiva del sistema industriale locale (dalla grande e media industria chimica, metalmeccanica e della carta alla rete della piccola e media industria) grazie alla realizzazione – dapprima agendo direttamente e successivamente dando vita ad un’apposta realtà societaria, Saia spa – del sistema delle aree industriali attrezzate, oggi diffuse nel Verbano (da Cannobio a Verbania, al Piano Grande), nel Cusio (San Maurizio, Armeno, Pogno..) e nella media e bassa Ossola (Domodossola, Piedimulera, Vogogna..). Nello stesso torno di tempo grazie a CBT si costruiva a Mergozzo il moderno forno inceneritore di rifiuti, mentre il trasporto pubblico locale – in mano ad aziende private in perenne stato di crisi – veniva gradualmente ristrutturato e riorganizzato attraverso la municipalizzata consortile (Aspan).

Il decennio ’80-’90 ha segnato un ulteriore sviluppo delle ambizioni della conurbazione, che sempre attraverso l’azione di CBT ha messo mano al grande piano di collettamento, canalizzazione e depurazione delle acque reflue tra Stresa e Ghiffa, contribuendo in maniera determinante al ritorno alla balneabilità del golfo Borromeo. La successiva fase esecutiva ha poi parzialmente compromesso l’unitarietà del progetto originario, generando realtà gestionali frazionate: segno che i fattori di degenerazione localistica, destinati poi a crescere negli anni successivi, iniziavano a indebolire la felice intuizione originaria. Nonostante questo oggettivo indebolimento, il decennio ha visto maturare altre esperienze positive. Tra queste, la più significativa e ambiziosa è certamente stata quella della redazione e approvazione del Piano Regolatore Generale Intercomunale, che ha tentato (riuscendovi solo parzialmente) a dare coerenza e omogeneità pianificatoria al territorio dei Comuni compresi tra Ghiffa e Nonio.

La data d’adozione del PRGI da parte dell’Assemblea del CBT (aprile 1985) fissa il punto di svolta dell’esperienza della conurbazione: proprio nel momento in cui si approva il più ambizioso strumento di pianificazione sovracomunale, l’idea stessa di una vocazione sovracomunale di indebolisce con vistosa progressione. Le cause di questo fenomeno vanno probabilmente ricercate in almeno due direzioni: da un lato, il tracollo definitivo del sistema macroindustriale verbanese e cusiano spinge i singoli Comuni a ripiegarsi su se stessi, un una sorta di difesa estrema del proprio territorio e della propria comunità affidata, più che alla solidarietà territoriale, alla tutela che poteva essere garantita dall’intervento dei grandi enti “salvagente” a livello nazionale (Gepi, Efim…); dall’altro, la soppressione del Comprensorio e il successivo, grande sforzo sviluppato per conseguire l’obiettivo della costituzione della nuova provincia del Vco hanno indotto nel sistema politico-amministrativo locale la convinzione che l’esperienza della conurbazione fosse destinata a rapido e definitivo superamento a favore di una più ampia, coesa, integrata, solida realtà provinciale. Oggi sappiamo che così non è stato.

Pur di fatto ridimensionata, l’idea di una dimensione sopracomunale non cessa di esistere. Se la grande spinta progettuale dei primi anni ’70 non è più attuale, dalla fine degli anni ’80 si afferma e si consolida gradualmente un’idea “gestionale” e non pianificatoria della conurbazione. Sono gli anni del radicale ammodernamento del termovalorizzatore di Mergozzo, dell’affermazione e dell’estensione a moltissimi Comune del Verbano, Cusio e Bassa Ossola del modello di raccolta differenziata dei rifiuti promosso e gestito da Con.Ser. Vco (ultima evoluzione societaria di CBT), del risanamento economico e del potenziamento del trasporto pubblico locale, della graduale affermazione delle gestioni sovracomunali del ciclo idrico integrato, delle gestioni imprenditoriali per conto dei Comuni (la funivia a Stresa, il porto turistico a Verbania, i parcheggi a Omegna),

2. LA CONURBAZIONE PER LA PROVINCIA

Attualmente la conurbazione, storicamente formatasi intorno al nucleo costituito dai Comuni di Verbania, Baveno, Gravellona Toce, Casale Corte Cerro e Omega, appare estesa. Essa ospita quasi 65.000 abitanti, migliaia di attività, migliaia di posti per l’ospitalità turistica, decine di servizi di importanza sovracomunale. L’assetto della conurbazione esercita una naturale influenza sui territori dei numerosi piccoli Comuni circostanti che, di fatto, incrementano ulteriormente la dimensione demografica della popolazione che risiede, lavora, utilizza i servizi e si sposta in un flusso continuo interno.

Nonostante la lunga e ricca esperienza consortile descritta al punto precedente, lo sviluppo territoriale della conurbazione, a partire dal secondo dopoguerra e fino ad oggi, è avvenuto prevalentemente seguendo spinte “spontanee”, spesso indotte dalle esigenze di sviluppo delle attività industriali. D’altro canto, i primi strumenti di pianificazione comunale hanno visto la luce negli anni ’70 e il primo, e unico, Piano Regolatore Generale Intercomunale è stato – come s’è visto – proposto e parzialmente approvato nella seconda metà degli anni ’80. Complessivamente l’attuale configurazione urbanistica, edilizia, infrastrutturale e viabilistica della conurbazione è disomogenea e, in molte parti, dequalificata. Ma tale valutazione non riguarda solo questi aspetti: punti di pesante debolezza sono riconoscibili anche nel sistema economico, dove si individuano situazioni di crisi, passate, presenti e attendibili, con pesanti ricadute sulle opportunità di lavoro e di produzione di reddito.

Proprio l’esame di un quadro complessivo caratterizzato da luci e ombre, entro il quale si misurano oggi con chiarezza sia i punti di debolezza (l’indebolimento del sistema produttivo, l’incertezza sulla direzione da intraprendere per risollevare l’economia, il deterioramento del tessuto sociale a seguito della contrazione dei redditi, l’inadeguatezza di una parte non irrilevante del sistema viario, lo stallo della sanità provinciale, la gracilità del sistema formativo specialistico postsecondario e universitario) sia i punti di forza (l’attrattività del paesaggio e la sua naturale vocazione/ tradizione turistica, l’esistenza di una storia industriale, la propensione della popolazione ad affrontare la crisi con impegno, l’allargamento della condivisione da parte di attori pubblici e privati della necessità di fare fronte comune, il radicamento profondo di un sistema di servizi e infrastrutture, la presenza di alcune “eccellenze”, l’esperienza storica di una Pubblica Amministrazione locale a impegnarsi insieme su progetti di interesse comune) ripropongono l’utilità di una politica capace di guardare realisticamente ad orizzonti che superino l’asfissiante dimensione localistico-municipale, valorizzando vocazioni ed esperienze ancora attuali e vitali.

Lungo l’asse che unisce Verbania a Omegna (meglio: il Verbano al Cusio) possono essere affrontati nella giusta dimensione territoriale, amministrativa e demografica alcune questioni di stringente attualità, che indichiamo senza pretesa di completezza e senza ordine di importanza.

La questione viabilistica si impone con naturalezza, con l’obiettivo di pianificare gli interventi di completamento sulla strada regionale 229 (tratto Casale-Gravellona e “bretella” Gravellona-Verbania) e nelle opere infrastrutturali sulla statale 34 (circonvallazione di Verbania, adeguamento sul tratto Ghiffa-Oggebbio, attraversamento di Cannero e Cannobio).

Accanto a quella viabilistica si pone la questione della mobilità complessiva lungo l’asse Omegna-Verbania, con particolare attenzione alla mobilità sostenibile. L’obiettivo è riconducibile all’alleggerimento drastico del traffico veicolare privato sugli attuali tracciati della 229 e della 34, al contestuale potenziamento del trasporto pubblico con interscambio ferro/gomma e mezzo pubblico/mezzo privato nella struttura del Movicentro della stazione di Fondotoce e all’intensificazione dei tracciati di mobilità ciclo-pedonale già oggi presenti in misura tutt’altro che insignificante.

Un’altra questione è rintracciabile nel potenziamento dell’offerta turistica sui tre laghi, affiancando all’offerta tradizionale (ricettività alberghiera e campeggi) una proposta innovativa, attrattiva e particolarmente adatta al paesaggio lacuale (strutture integrate, con servizi plurimi aperti anche ai residenti, “annegate” nell’ambiente naturale). Questa vocazione, che pare assolutamente congeniale al nostro territorio, reclama però una pianificazione e una programmazione sottratte alla logica monocomunale.

La presenza, al centro della conurbazione, di una grande struttura sottoutilizzata come Tecnoparco del Lago Maggiore pone il nodo della formazione specialistica universitaria, che oggi sconta la debolezza di un’esistenza quasi virtuale, con sedi e corsi dispersi su territorio, quando invece il suo radicamento impone un consolidamento strutturale e organizzativo e una visibilità anche fisica, capace di rivelarne la presenza ai giovani del Vco.

Non secondaria è poi la problematica della gestione dei servizi pubblici locali (raccolta e smaltimento dei rifiuti, ciclo idrico integrato, distribuzione del gas, trasporto pubblico locale), che già oggi avviene in misura non secondaria attraverso società di proprietà dei Comuni e che è interessata da un profondo e complesso processo di riorganizzazione territoriale (gli Ato e i Bacini), amministrativa (conferimento di funzioni dai singoli Comuni ai Consorzi) e gestionale (affidamento diretto, a gara, società “in house”, miste, ecc.).

Per queste e altre questioni la “conurbazione dei laghi” può rappresentare una risposta convincente. Essa non si pone certamente come un ulteriore elemento di frammentazione o di separazione territoriale. Né ignora che alcune di queste problematiche (la formazione universitaria, la gestione dei servizi pubblici locali..) hanno un respiro che investe l’intera comunità provinciale (e non solo: si pensi al ciclo integrato dell’acqua). Essa nasce anche dal riconoscimento della sostanziale inadeguatezza del concetto di “tripolarità”, assunto all’indomani dell’istituzione della Provincia in una prospettiva difensivistica e declinato in questo decennio in forme tese più all’affermazione nominalistica di una rivendicata identità che al superamento di astratte divisioni e all’integrazione armoniosa di riconosciute diversità. Per noi guardare alla conurbazione significa innanzitutto uscire dalla condizione di ripiegamento municipalistico che negli anni ’80 la crisi industriale ci ha imposto e che l’istituzione della provincia non è riuscita anora a temperare e assorbire in una superiore sintesi territoriale. Ragionare e pianificare e agire in una logica sovracomunale e “conurbata” è un contributo al superamento della frammentazione, recuperando e aggiornando forme di integrazione che la nostra recente storia amministrativa ha già conosciuto e di cui abbiamo misurato la fecondità. In ultima analisi, a noi pare che questa proposta possa essere un contributo razionale e realistico alla costruzione della provincia. Uno strumento che immaginiamo possa essere ritenuto utile anche da altre comunità locali come stimolo ad individuare una più congrua e adeguata dimensione sovramunicipale (la “conurbazione del Toce”?) in grado di rappresentare problemi e interessi comuni, da conferire – arricchiti – all’edificazione di una provincia cui in questo decennio non hanno giovato né l’affermazione difensivistica e nominalistica della “tripolarità” né le rivendicazione etnico-localistiche.

3. UNA SCELTA: LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA

In tempi recentissimi, le Amministrazioni locali hanno proposto l’attivazione di una nuova metodologia di lavoro, fondata sulla pianificazione strategica. Si tratta di coinvolgere le istituzioni, le categorie, gli attori economici e sociali e tutti i cittadini in un processo comune, basato sul metodo della concertazione delle politiche e delle azioni che possono portare ad una nuova fase di sviluppo, compatibile con l’ambiente e con la qualità della vita. Il coinvolgimento deve partire da una diagnosi condivisa della situazione e dalla scelta degli obiettivi.

Attraverso la formazione di luoghi di lavoro comune si deve passare alla fase di prefigurazione e preparazione di progetti specifici e, successivamente, con il concorso di tutti e l’impiego di risorse umane e finanziarie, alla loro concreta realizzazione. I progetti si muovono in direzione dello sviluppo economico, del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, della tutela e dell’integrazione sociale, della qualità urbana, della salvaguardia e della valorizzazione dell’ambiente. Il coordinamento, la regìa e le garanzie di attenzione all’interesse generale sono dovuti alla comune pianificazione strategica, promossa e sostenuta dagli Enti pubblici e rivolta a tutti gli attori locali.

La pianificazione strategia è un processo complesso e articolato che deve però basarsi su pochi, chiari e largamente condivisi presupposti, che devono essere riconosciuti con facilità e semplicità dall’opinione pubblica e – in ultima analisi – dai cittadini. Senza una consapevolezza diffusa e immediatamente comprensibile, il cammino della pianificazione strategica rischia di essere un’operazione ad elevato tasso di sofisticazione destinata a una ristretta casta di iniziati (politici e amministratori locali, sociologi, architetti e urbanisti, burocrazia funzionariale delle associazioni di categorie e produttive..). Eppure i nodi intorno ai quali da tempo ci dibattiamo sono proponibili in forma di interrogativi semplici e profondi. Vediamone alcuni. Per quanto tempo ancora il nostro tessuto socio-economico potrà contare sullo straordinario apporto di reddito derivante dalle decine di migliaia di pensioni erogate a ex dipendenti di un sistema industriale ormai scomparso come realtà produttiva e sopravvissuto nel suo provvidenziale prolungamento previdenziale? Nel medio-lungo periodo, può bastare a compensare la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro nel settore industriale avvenuta nell’arco di un ventennio l’apporto economico dei redditi derivanti da un terziario pubblico tendenzialmente ipertrofico alimentato dai grandi comparti dei servizi pubblici (sanità, scuola, enti locali territoriali) e dalla moltiplicazione di uffici generata dall’istituzione della nuova provincia? Quale contributo è in grado di offrire – oggi e soprattutto domani – un turismo che fa perno su una ricettività alberghiera numericamente circoscritta in strutture datate dal punto di vista edilizio e dei servizi, imprenditorialmente statica, fortemente stagionalizzata, costosa, fondata su soggiorni molto brevi, affidata al flusso assicurato da un sistema tradizionale e più che maturo di operatori turistici? Quale dinamismo può esprimere un settore commerciale che, ad esclusione della grande distribuzione, risente di un approccio difensivistico e talvolta vittimistico e che consumatori con sempre meno soldi da spendere percepiscono come eccessivamente caro? E’ solo teorico il rischio che la grande distribuzione in via di progressivo e massiccio insediamento sull’asse Fondotoce-Gravellona possa generare distorsioni e squilibri né superficiali nè transeunti sotto il profilo territoriale, urbanistico e viabilistico? Davvero va considerata irrimediabilmente chiusa la stagione manifatturiera e industriale del Vco, che nell’arco di due secoli ha saputo più volte (il tessile, la meccanica, l’energia, la chimica, il casalingo..) reinterpretare una vocazione produttiva radicata nell’operosità della nostra gente e sostenuta da risorse naturali e infrastrutturali di grande valore?

Noi crediamo che questi interrogativi siano fondati e che essi – nella percezione sintetica e semplificata dell’opinione pubblica – possano ulteriormente ridursi ad uno, semplice, stringente e umanissimo: “di che cosa vivranno i nostri figli, nel caso in cui volessero restare a lavorare in queste terre?”. Allora la sfida della pianificazione strategica dismette i panni del sofisticato e astratto esercizio “di scuola” e diventa una sfida che interpella non soltanto le nostre intelligenze, ma prima ancora il sentimento di responsabilità che naturalmente avvertiamo nei confronti di una generazione che già esiste nelle nostre comunità ed alla quale sappiamo di dover consegnare una terra rivelatasi a noi come madre generosa. Proviamo allora a immaginare cosa potrebbe essere del nostro territorio, se i profondi rivolgimenti che si annunciano fossero dal noi passivamente subiti. E’ difficile immaginare qualcosa di diverso da una gradevole “dependance” per la villeggiatura e/o la “residenza decentrata” a servizio della grande ed espansiva conurbazione industriale, produttiva e metropolitana che – auspice Malpensa e l’Alta Velocità – già ora si estende senza soluzione di continuità tra Milano e Novara. Si può convenire che esistano destini peggiori. Ma questo approdo sancirebbe la progressiva dissoluzione della nostra identità socio-economica e territoriale e della peculiarità che tra Ottocento e Novecento ha costituito il tratto distintivo e originale di una comunità capace come poche altre di svolgere la funzione di “cerniera” territoriale non soltanto non illanguidendo la propria fisionomia, ma addirittura trovando in questa dimensione ragioni ulteriori di caratterizzazione e di specificità. Si tratta allora di riconoscere la radicale soluzione di continuità che i mutamenti macrostrutturali impongono alla nostra storia comunitaria e attrezzarci per essere anche in questo frangente protagonisti e artefici del nostro destino. Ciò significa prepararci per traghettare e reinterpretare in un futuro ormai imminente il lascito migliore e non transeunte della nostra tradizione civile, sociale ed economica.

La grande conurbazione metropolitana della fascia pedemontana tra Piemonte e Lombardia è – insieme all’Europa centrosettentrionale di cui siamo la porta – il nostro destino e la nostra storica opportunità. E se la riaffermazione e l’attualizzazione della nostra plurisecolare vocazione ad essere terra di passaggio tra le pianure meridionali e l’Europa continentale dipende oggi da una scelta netta e irreversibile della politica nazionale per la grande infrastruttura trasportistica del Sempione, la valorizzazione della nostra originalità – si potrebbe ora dire “eccellenza” – dipende da scelte che in larga misura possono maturare e compiersi dentro il nostro territorio. Alla grande conurbazione pedemontana noi possiamo offrire qualcosa di più di un ambiente naturale unico e straordinario da colonizzare disordinatamente senza abitarlo. L’eccellenza del nostro sistema scolastico e formativo, la qualità dei nostri servizi pubblici (l’infanzia, l’assistenza sociale, la sicurezza..), la sfida (possiamo ancora vincerla) per una sanità anche ospedaliera di elevata qualità e a misura d’uomo, la persistenza di una tradizione industriale che accetta la sfida della riconversione, la presenza di un terziario pubblico attento ed efficiente, l’accessibilità di un territorio che in pochi chilometri fonde lago, collina, “wilderness”, alta montagna, la dotazione di strutture sportive e ricreative, l’esistenza di un patrimonio residenziale rurale e montano che attende di essere recuperato e valorizzato con intelligente oculatezza e non con rapinosa ingordigia, la presenza di luoghi e di strutture destinati alla ricerca tecnologica; questa è oggi la ricchezza che la nostra terra può offrire. La crisi che attraversiamo non ci consegnerà alla desertificazione, ma a una nuova fase della nostra storia entro la quale mettere a frutto quanto – e non è poco – il lavoro, la passione, l’intelligenza, la fatica delle generazioni che ci hanno preceduto e la nostra stessa generazione hanno solidamente edificato e che non sarà una crisi – per quanto profonda e non congiunturale – a dissolvere.

Pianificazione strategica è, semplicemente, questo. Riconoscersi come comunità civile e come sistema socio-economico; leggere insieme la nostra storia e individuarne i punti di forze e quelli di debolezza; pensarsi all’interno di un processo tumultuoso di cambiamento al quale non deve mancare l’originale contributo che possiamo offrire; convenire sugli obiettivi di medio-lungo periodo; pianificare le azioni per perseguirle con coerenza ed efficacia. Non sarà la sola classe politica a fare pianificazione strategica; non saranno le categorie economiche e produttive; non saranno gli amministratori locali; non saranno le associazioni. Farà pianificazione strategica una comunità intera, interpellata dall’umanissima domanda: “di cosa vivranno i nostri figli?”.

4. UN’OPPORTUNITA’: IL PROGRAMMA INTEGRATO

Nella prima fase di attivazione della pianificazione strategica si presenta l’opportunità di attivare un programma integrato, realizzato dai Comuni della conurbazione, ma con il coinvolgimento di altri soggetti pubblici e privati. Il programma integrato può rappresentare la primissima fase operativa, coerente con gli obiettivi di sviluppo locale e di rigenerazione urbana. Si tratta di un’azione coordinata dei Comuni, essenzialmente volta a politiche e interventi di consolidamento e riqualificazione del territorio.

L’iniziativa coordinata delle Amministrazioni, partendo da un’analisi condivisa e da obiettivi generali, si configura in una serie di interventi e azioni che agiscono positivamente sul territorio, migliorando la scena fisica dove si andranno a materializzare i singoli progetti generati dall’attività del piano strategico. Al centro del programma integrato potrà essere un insieme organico di interventi riguardanti la riqualificazione e la rifunzionalizzazione degli insediamenti, l’efficienza del sistema della mobilità, l’accessibilità ai servizi e la loro gestione, il miglioramento e la valorizzazione del paesaggio e dell’ambiente, l’incremento della qualità ambientale, la sostenibilità ecologica degli interventi, la qualità della vita dei cittadini, il miglioramento dell’offerta turistica.

Si tratta anzitutto di intervenire sullo scenario generale che ospita persone, attività e i futuri progetti generati dall’attività di concertazione della pianificazione strategica. Attraverso una prima azione comune degli Enti locali si intende proporre un programma integrato ed una prima serie di interventi, basati sulle opportunità di uno specifico bando. La prima fase riguarderà la presentazione di un piano di fattibilità per l’accesso ai finanziamenti riservati ai programmi integrati. Successivamente si potrà procedere alla relativamente complessa definizione del programma e della prima serie di interventi pubblici diretti.

L’obiettivo fondamentale è la realizzazione di una conurbazione lineare di maggiore qualità e migliore funzionalità, che possa essere la base su cui concepire ed attivare progetti specifici, unendo le risorse degli Enti locali con quelle di altri soggetti pubblici e privati.

Verbania, 18 febbraio 2006

Claudio Zanotti              Sindaco di Verbania