IL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE, IL RISCALDAMENTO GLOBALE E L’ENERGIA SOSTENIBILE A VERBANIA di Italo ISOLI

IL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE.

Chi, nei passati giorni di canicola, fosse salito a cercare refrigerio nella più glaciale (ormai l’unica) delle nostre valli, la Valle Anzasca, avrebbe potuto osservare l’enorme quantità d’acqua lattiginosa che scorreva nell’omonimo torrente Anza, che nasce dai torrenti subglaciali dei due rami del ghiacciaio del Belvedere, in particolare da quello di sinistra (spalle alla sorgente), che raccoglie anche ciò che resta dei ghiacciai della parete Est.
Il fenomeno delle massime piene estive dei corsi d’acqua con bacini nivali e glaciali è un fenomeno assolutamente normale, nel senso che l’accumulo nevoso invernale e primaverile si scioglie con il calore estivo e quindi ritarda il massimo deflusso rispetto ai corsi d’acqua con altitudini medie più basse e temperature medie più alte.

Negli stessi giorni i locali torrenti S. Bernardino e S.Giovanni evidenziavano una magra estiva, altrettanto normale. Le fotografie, scattate nella seconda settimana di Luglio, esaltano le differenze. Se si pensa che il bacino del T. S.Bernardino, alla traversa posta poco a monte del nuovo ponte a Intra, intercetta un bacino imbrifero di 130 kmq, mentre il T. Anza a Pecetto di Macugnaga, intercetta un bacino di 40 kmq, ossia tre volte più piccolo, le differenze di deflusso diventano particolarmente evidenti.

Isoli 1

Isoli 2

Per sapere però se i due fenomeni, vistosamente differenti per periodi di magre e piene, possano essere anche vagamente paragonati almeno sull’arco di un anno o di una serie pluriennale, occorre far ricorso a un parametro idrologico, che prende il nome di coefficiente di deflusso e che rappresenta il rapporto fra i volumi di acqua transitati in un certo corso d’acqua e i volumi di acqua caduti sul bacino imbrifero corrispondente, sotto forma di acqua o neve, almeno nell’arco temporale di un anno o, meglio, di più anni
E’ noto che il coefficiente di deflusso è pressoché sempre inferiore all’unità, in quanto una certa frazione di acqua ritorna in atmosfera per evaporazione durante e dopo le precipitazioni o viene utilizzata dalla vegetazione e torna poi ancora in atmosfera o ancora si infiltra nel terreno, per cui nel bacino imbrifero del lago Maggiore, tra la pioggia o la neve caduta sul territorio e l’acqua che passa alla diga della Miorina, mediamente si perde circa il 20 % dell’acqua e quindi il coefficiente di deflusso è pari, sempre mediamente, a circa 0.80.

Con alcune importanti eccezioni nell’arco alpino, che sono appunto quelle dei bacini imbriferi glaciali come quello dell’alta Valle Anzasca, in cui il coefficiente di deflusso è superiore all’unità, il che vuol dire che il torrente trasferisce a valle più acqua di quella che è caduta sul bacino sotto forma di acqua o neve. Il mistero, ormai non più tanto mistero, è presto chiarito: quel 20 o 30 % in più di acqua che scende nel torrente Anza è fornito dallo scioglimento degli unici ghiacciai rimasti nel nostro territorio e ormai uno dei pochi sul versante meridionale delle Alpi. Per dare un ordine di grandezza del fenomeno, nelle prime settimane di Luglio, in assoluta assenza di precipitazioni, nell’Anza transitavano sicuramente ben oltre 5 mc di acqua ogni secondo, che moltiplicati per il numero di secondi di un giorno, che sono 86.400, vuol dire che stava scendendo almeno mezzo milione di metri cubi d’acqua ogni giorno, proveniente dallo scioglimento di neve o ghiaccio..

Certamente questi volumi vanno confrontati anche con i volumi di neve caduti in inverno e primavera sul bacino corrispondente, che si sciolgono con ritardo di mesi o, se trasformati in ghiaccio, anche di molti o moltissimi anni e che nell’inverno 2013-2014, da considerarsi eccezionale, sono stati, nel bacino dell’Anza, a monte di Pecetto, dell’ordine di almeno un centinaio di milioni di mc di neve, ma comunque il bilancio idrico è purtroppo a sfavore della massa glacializzata e che quello che viene chiamato il “limite delle nevi perenni” abbiamo ormai capito che non sarà più tanto perenne o per lo meno si sarà spostato a quote ancora più alte delle attuali.

Ovviamente tutto questo ha che fare con l’aumento globale della temperatura e il fenomeno del ritiro dei ghiacciai è planetario ma quasi certamente di origine prevalentemente antropica (si veda la terza parte di questo articolo).
La spedizione DAMOCLES (Developping Arctic Modelling and Observing Capabilities for Long-.term Environmental Studies), con acronimo mitologicamente riferito alla spada climatica incombente sulle nostre teste, sta studiando i cambiamenti nella regione artica; le previsioni sono ancora discordanti ma è possibile la fusione totale della calotta artica entro il 2060 (qualche scienziato parla addirittura del 2020), per cui le superpotenze militari ed economiche si apprestano all’occupazione e possibilmente all’estrazione di altro petrolio.

Da qualche decennio si è cominciato quindi a discutere su come opporsi a tale riscaldamento che sta già producendo modifiche ambientali importanti e che, se non contenuto, potrebbe addirittura mettere in forse il destino dell’umanità.
La maggior parte delle strategie individuate e in parte anche attuate, riguarda la limitazione del consumo di energia prodotta da fonti fossili o la sua conversione in energie alternative e rinnovabili, ossia la necessità di affrontare il tema di un’energia sostenibile, per cui a questo obiettivo sono chiamati non solo i governi ma anche i singoli cittadini, attraverso comportamenti virtuosi.

L’ENERGIA SOSTENIBILE IN ITALIA E A VERBANIA

In Italia – e dunque anche a Verbania – siamo in grado di mettere a punto strategie e azioni coerenti con gli obiettivi di limitazione dell’energia da fonti fossili, sia sul piano ambientale che economico?

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’Italia ha già fatto passi importanti nel settore della sostenibilità energetica. In uno studio comparativo internazionale di General Electric e del Handesblatt Research Institute, del 2014, sulla transizione energetica di 24 Paesi Ocse e Brics, l’Italia si classifica terza nella graduatoria dinamica degli ultimi 5 anni, in relazione allo sviluppo delle energie rinnovabili, diminuendo così la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili.

Oggi in Europa e in Italia l’iniziativa più interessante, promossa dalla Commissione Europea, è il Covenant of Mayors, in italiano Il Patto dei Sindaci, a cui hanno aderito sinora oltre 6000 Comuni e 20 Capitali Europee e che in queste settimane sta concludendo anche il suo iter nella Città di Verbania, con la formazione e approvazione del PAES Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (per inciso discusso e approvato in Consiglio Comunale in data 30 Luglio 2015).

Il Piano deve dimostrare che l’amministrazione comunale intende raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2020, a partire da un inventario delle emissioni di base (Baseline Emission Inventory) ad una certa data che Verbania ha indicato nel 2010.

Gli obiettivi generali da raggiungere entro il 2020 sono sintetizzati nella strategia generale indicata dall’Unione Europea per il periodo successivo al termine del Protocollo di Kyoto e denominata “Pacchetto Clima 20-20-20”:
– ridurre i gas ad effetto serra del 20%;
– ridurre i consumi energetici del 20% aumentando l’efficienza energetica;
– soddisfare il 20 % del fabbisogno energetico con le energie rinnovabili.

L’adesione al Patto dovrebbe anche aprire le porte ai finanziamenti messi a disposizione dalla Ue per il raggiungimento degli obiettivi.
Ovviamente il Comune di Verbania ha dovuto adattare gli obiettivi generali alle proprie peculiarità che sono complesse e particolari. Pertanto il Piano, redatto da una Società specializzata, la Spes Consulting Srl di Genova, con la consulenza locale dell’Arch. Andrea Ammenti, ha preso le mosse a partire da una descrizione della città non molto diversa da quelle necessaria per un piano urbanistico, con un’analisi della morfologica del territorio, della condizione demografica, della storia, della struttura economica e produttiva, del particolare sistema insediativo e della mobilità.

Per quanto riguarda gli aspetti energetici relativi al patrimonio pubblico il Piano ha messo in evidenza innanzitutto le caratteristiche degli edifici pubblici, individuando per ciascuno di essi le caratteristiche energetiche, i consumi e le potenzialità di miglioramento, mediante efficientamento e conseguente riduzione dei consumi.
Ha poi censito gli impianti di produzione di energia rinnovabile, presenti sul territorio, rappresentati da impianti fotovoltaici, solari termici, mini idroelettrici e centraline a biomassa, ipotizzando un incremento delle potenze installabili.
Ha analizzato il sistema di smaltimento dei rifiuti, con particolare riferimento alla raccolta differenziata, considerata già molto avanzata rispetto ad altri Comuni Piemontesi e quello della mobilità, analizzando la rete stradale, il trasporto privato e quello pubblico, il sistema dei parcheggi, delle aree a mobilità limitata e delle piste ciclopedonali.
L’analisi dei consumi energetici e delle emissioni al 2010, anno di riferimento, ha messo in evidenza che il settore più energivoro e con maggiori emissioni è quello della residenza privata, rispettivamente per il 52 e il 46 %, mentre al secondo posto vi è il trasporto privato , con il 26 e il 27%; al terzo posto il settore terziario con il 17.5 e il 23 %; i consumi e le emissioni degli edifici e del trasporto pubblico impattano rispettivamente per il 4% e per lo 0.5%.

La strategia generale individuata dal Piano è stata articolata in 5 macro-obiettivi:
– efficienza energetica nella Pubblica Amministrazione;
– efficienza energetica nel settore residenziale;
– efficienza energetica e sostenibilità nel settore terziario e turistico;
– mobilità sostenibile;
– diffusione dell’utilizzo delle fonti rinnovabili sul territorio comunale.

Le caratteristiche più importanti del Piano sono costituite dal coinvolgimento degli attori all’interno delle istituzioni e degli operatori privati, ossia dei portatori di interesse (stakeholder).

Il Piano si articola poi in 12 azioni specifiche, illustrate in altrettante schede operative, ciascuna con le previsioni di contenimento energetico e delle emissioni, a cui si rimanda per una lettura più analitica. Va però evidenziato che il piano non necessariamente risulta confinato al perimetro territoriale, ma deve anche necessariamente confrontarsi con gli Enti sovra comunali e con i Comuni limitrofi. Da questo punto di vista il PAES avrà come riferimento un processo di Pianificazione Strategica, già attivato dal Comune di Verbania con i Comuni di Gravellona Toce, Casale Corte Cerro e Omegna ed è auspicabile che in questo processo vengano coinvolti anche altri Comuni con problematiche analoghe e territori contigui.

In questo senso il PAES si pone anche come possibile strumento di superamento delle divisioni territoriali e di crescita delle unioni di Comuni, in un momento di cambiamenti istituzionali in corso di definizione e non ancora conclusi. Pare però importante, se non vi siete ancora annoiati, fare anche un breve escursus sulle caratteristiche del global warming o riscaldamento globale, che giustifica le azioni in corso a livello planetario.

IL RISCALDAMENTO GLOBALE.

La riduzione dei ghiacciai e della calotta artica è correlata ovviamente all’aumento della temperatura globale dell’atmosfera a terra e della superficie del mare che ha registrato, a partire dal 1920 e sino al 1940, un aumento medio di 0.4 °C, poi dal 1940 al al 1980, una lieve diminuzione di 0.1 °C, e, a partire dal 1980, un nuovo innalzamento di temperatura sino ai nostri giorni, in ragione di circa 0.6 °C, quindi in totale, in circa un secolo, quasi 1 °C.

Le cause del riscaldamento globale sembrano ormai note anche a livello di dibattito nei bar, soprattutto durante la canicola estiva, ma val la pena di elencarle, anche perché da un lato nei riguardi di alcune di esse i governi e le amministrazioni, come già detto, promuovono azioni per determinare nei cittadini comportamenti virtuosi per contrastarle, dall’altro sono anche oggetto di controversie scientifiche recenti, anche poco ortodosse o molto interessate.

La prima causa naturale delle variazioni di temperatura del pianeta è di tipo astronomico ed è connessa con variazioni dell’inclinazione dell’asse terrestre e dell’eccentricità dell’orbita che hanno cicli compresi fra 22.000 e 100.000 anni e hanno causato periodi glaciali e interglaciali, fra cui l’odierno che a partire dalla fine dell’ultima glaciazione, ha già la ragguardevole età di un decina di migliaia di anni; si tratta quindi di variazioni molto lente che non sembrano compatibili con le variazioni attuali che sono vistosamente più rapide (la rapidità in geologia è, come noto, un ossimoro).

Altre cause sono ipotizzate con variazioni della radiazione solare per attività vulcanica, passaggio di nubi cosmiche, macchie solari, ma la causa astronomica, individuata e descritta nel 1913 dall’Ing. Milutin Milankovitch, climatologo serbo, resta prioritaria
Anche i periodi interglaciali non sono mai stati per la verità molto regolari per quanto riguarda la temperatura; sulla base di studi di dendrocronologia, nell’ultimo periodo si sono già verificati un massimo, denominato Optimum, tra il 5000 e il 2000 a.C., con clima eccezionalmente mite nel mondo nordico, la scomparsa della calotta glaciale scandinava e con ghiacciai arretrati a livelli addirittura inferiori a quelli attuali, un successivo minimo tra il 2000 e il 500 a.C., un nuovo massimo in periodo medioevale, un successivo nuovo raffreddamento verificatosi tra il XV e il XIX secolo , con avanzamento dei ghiacciai alpini, congelamento di fiumi e canali e milioni di morti per carestia, da cui il nome di Piccola Era Glaciale.

Ma di che variazioni di temperatura stiamo parlando? I dati meteorologici sono iniziati ad essere registrati con sistematicità in Europa solo a partire dal XVIII secolo e quindi le valutazioni sui periodi precedenti sono eseguite con metodi indiretti. Poi non bisogna confondere i massimi e minimi di temperatura con quella media sul lungo periodo.
Comunque si sa per certo che la temperatura media della Piccola Era glaciale era in Europa, solamente di un paio di gradi al di sotto di quella attuale e che probabilmente l’Optimum Climatico era più caldo dell’attuale di 2 o 3 °C alle basse latitudini e forse di 4 o 5 °C alle più alte. Nell’ultima glaciazione, chiamata Wurmiana, la temperatura sembra sia stata di soli cinque o sei gradi inferiore a quella odierna, sufficienti però per coprire di ghiaccio il Nord Europa e il Nord America. Quindi anche variazioni di pochi gradi nella temperatura media della superficie terrestre e degli oceani possono influire enormemente sul clima.

Per chi fosse curioso su come calcolare le temperature passate: si usa valutare lo sviluppo massimo di un ghiacciaio mediante i depositi morenici frontali e calcolare di conseguenza la quota del limite delle nevi perenni che si colloca circa a metà della fiumana glaciale. Nel caso dell’ultimo ghiacciaio Wurmiano, il limite delle nevi perenni era collocato a circa 1200/1400 m s.l.m., ossia circa 1300/1500 m più basso dell’attuale. Ad ogni abbassamento di 200/250 m si attribuisce la diminuzione di 1 °C.

Contrariamento quindi a quanto si pensa, le glaciazioni non sono state eventi catastrofici ma hanno solo imposto spostamenti di latitudine di animali e vegetazioni
Quali sono state però le cause delle ultime, geologicamente brevissime, variazioni di temperatura? La comunità scientifica ne elenca, fra quelle naturali, le variazioni di attività solari, l’attività vulcanica e le variazioni nelle correnti oceaniche.

A queste cause si deve aggiungere però, a partire dal secondo dopoguerra, l’azione prevalente dei cosidetti gas climalteranti o a effetto serra, emessi dall’attività antropica:
– l’anidride carbonica prodotta dall’impiego dei combustibili fossili;
– il metano, prodotto dagli allevamenti zootecnici e dalle discariche di rifiuti urbani;
– il protossido di azoto prodotto nel settore agricolo e nelle industrie chimiche
– i perfluorocarburi, gli idrofluorocarburi e gli esafluoruri di zolfo impiegati nelle industrie chimiche e manifatturiere.

L’anidride carbonica è il principale gas ad effetto serra a cui contribuisce per oltre il 55%.
La presa di coscienza politica e internazionale dei dati scientifici risale al cosidetto Summit della Terra di Rio del 1992 e poi alla stesura del Protocollo di Kyoto del 1997, entrato in vigore solo nel 2004, con l’adesione della Russia, con l’obbiettivo per i paesi industrializzati di ridurre le emissioni di CO2 del 5%. Tra i paesi non aderenti ci sono gli USA, che da soli contribuiscono al 36 % delle emissioni e il Canada, che ne è uscito nel 2011.

L’ente scientifico internazionale che si occupa del riscaldamento globale si chiama IPCC – “Intergovernmental Panel Climate Change”. L’11 Novembre 2014 l’IPCC ha pubblicato un ultimo rapporto con conclusioni molto nette:

– Entro il 2050 più della metà dell’energia del pianeta dovrà essere prodotta da fonti a basse emissioni di inquinanti atmosferici (tra cui l’energia nucleare), mentre i combustibili fossili dovranno essere eliminati come fonte di energia entro il 2100, al fine di limitare a 2 °C l’incremento di temperatura dei prossimi cento anni;

– Se queste indicazioni non saranno seguite, le emissioni di gas serra causeranno un ulteriore riscaldamento con irreversibili conseguenze per l’umanità e per l’ecosistema.
Ovviamente i più accesi obbiettori del rapporto sono stati i paesi esportatori di fonti fossili e non sono mancate anche posizioni negazioniste sui risultati dell’IPCC, in particolare sulle temperature del passato, basate sulla dendrocronologia, sugli effetti dei gas serra come la CO2 e sulle validità delle strategie per contenere il riscaldamento globale.

A questo proposito va evidenziata la recentissima notizia, riportata da molti giornali, riguardante una comunicazione scientifica della professoressa Valentina Zharkova, che prevede una diminuzione del 60% dell’attività solare nel 2030 con condizioni simili a quelle della Piccola Era Glaciale. L’Ufficio Meteorologico Britannico si è affrettato a dire che una riduzione dell’attività solare non si accompagnerà a un rallentamento della crescita delle temperature. In realtà la Zharkova non ha mai parlato di mini era glaciale o di cambiamenti climatici ma i media si sono tuffati su questa notizia ad effetto. Altre obiezioni negazioniste anche nostrane riguardano la forma del grafico dell’aumento della temperatura che sembra tendere ad un massimo e rappresenterebbe pertanto l’inizio di una diminuzione di temperatura quale quella osservata tra il 1940 e il 1980.

Tutte le obiezioni sono state respinte dagli estensori dell’IPCC, anche se con precisazioni relative al fatto che l’analisi del cambiamento climatico è un problema complesso, di lungo termine e non ancora pienamente compreso, ma appare ormai di diffusa consapevolezza, nell’ambiente scientifico internazionale, il fatto che i governi devono prendere misure per mitigare le emissioni, pur in condizioni di notevole incertezza e con prevedibili impatti sui settori energetici e, in definitiva, anche sull’organizzazione sociale ed economica dei singoli paesi.

Secondo la teoria economica, il livello ottimale di abbattimento delle emissioni si raggiungerebbe partendo dalle soluzioni meno costose e spingendosi fino a quando costi e benefici dell’abbattimento si uguaglino, ma è possibile che questo limite debba essere superato.

Purtroppo sino ad oggi il quadro mondiale risulta sconfortante:
– nel 2002, nei 34 paesi dell’OCSE, le emissioni di CO2 procapite erano un terzo di quelle USA, il doppio della media mondiale e il triplo della Cina.
– nel 2010 si è assistito al raddoppio delle emissioni pro capite della Cina e dell’India , a un aumento considerevole dell’Arabia Saudita e dei paesi in via di sviluppo mentre i paesi dell’OCSE le hanno diminuite leggermente.
– in assoluto oggi la Cina è diventata il primo produttore di CO2, davanti anche agli USA e ipotizza di affrontare il problema con il potenziamento dell’energia nucleare.
– in Europa il primo produttore di gas climalteranti è la Germania, seconda l’Italia e terza la Francia (che ha ancora centrali nucleari).
Tuttavia il livello di conoscenza dei fenomeni e di coscienza dei problemi sta aumentando in tutto il pianeta ed è possibile che tale consapevolezza produca cambiamenti sufficientemente veloci da contrastare almeno in parte quelli del riscaldamento globale.

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