RINO ROMANO CI REGALA “LA RUOTA”

Il romanzo come elastico teso tra i due giorni fatali della generazione e dell’agnizione: una storia che “ruota” intorno all’imperioso richiamo dell’alma Venus di lucreziana memoria , all’impasto misterioso di gioia e dolore che accompagna una gravidanza, alla cesura non rimarginabile della morte.

Arrivato d’un fiato all’ultima pagina, è stato per me naturale pensare: “Bravo, Rino! Ce l’hai fatta”.  Non era facile per Rino Romano – insegnante di lungo corso che al “Cobianchi”  ha chiuso un’impegnativa carriera nelle scuole cittadine – con la sua “opera seconda” reggere il confronto con Il Passaggio, la bella raccolta di racconti siciliani uscita nel maggio del 2012 con una presentazione di grande suggestione e di intensa partecipazione affidata alla penetrante sagacia di un critico d’eccezione come Pier Angelo Garella.

Eppure La ruota, “opera seconda” e primo romanzo di Rino , non solo ha compiuto le attese, ma le ha superate. Sostenuto da una tessitura narrativa elaborata e coinvolgente, il romanzo consegna al lettore una vicenda in cui la forza invincibile della passione amorosa attraversa e redime vita e morte di  cinque generazioni  dei Madonia-Santagata, legate misteriosamente e indissolubilmente da ciò che accade a Vittorio ed Assunta nel “giorno fatale” del 30 ottobre 1916.

 La ruota si può definire (riduttivamente) un racconto di agnizione: elemento classico, quest’ultima, della letteratura occidentale sin dal teatro antico, che svolge la funzione di punto dirimente e risolutivo della narrazione: la rivelazione dell’identità del personaggio come colpo di scena, come vera e propria Spannung.  Nel romanzo di Rino Romano l’agnizione, intuita sin dalle prime pagine e gradualmente disvelata nel progressivo dipanarsi del capitoli,  rappresenta invece la forza motrice e organizzatrice della trama narrativa.

 Ordinando la narrazione in analessi, l’autore costringe il lettore a una “corsa a ritroso”, a ripercorrere i decenni che dal giorno della rivelazione (il 27 dicembre del 2012) ci portano sin nel cuore dell’800, per poi risalire al discrimine dei due secoli, addensarsi negli anni a cavallo tra il primo e secondo decennio del ‘900 e da lì prendere il volo per riacciuffare – tra ellissi e sommari – la contemporaneità. Il romanzo come elastico teso tra i due giorni fatali della generazione e dell’agnizione: una storia che “ruota” intorno all’imperioso richiamo dell’alma Venus (“incutiens blandum per pectora amorem/efficis ut cupide generatim saecla propagent”) di lucreziana memoria, all’impasto misterioso di gioia e dolore che accompagna una gravidanza (e nel romanzo  ne “viviamo” tre!), alla cesura non rimarginabile della morte.

Un romanzo d’amore, di vita e di morte non può che costruirsi su personaggi femminili. Ne La ruota le figure femminili sono centrali ed hanno grande spessore e grande profondità. Restano vivissime nella memoria del lettore la grazia naturale e la limpida determinazione di Assunta, la giovane serva cui si deve la continuità dei Madonia-Santagata; la dedizione oblativa di sua madre adottiva, Carmelina; l’eleganza dolorosa di donna Chiara; il misericordioso rigore di suor Adelaide. Accanto alla centralità femminile, la lateralità maschile di figure come don Santo e Giuseppe, mariti rispettivamente di donna Chiara e di Carmelina: non sanno i maschi calarsi nel mistero della vita e della morte e viverne intensamente e interamente il dramma. Eppure, eppure… l’autore concede anche ai maschi il riscatto, affidandolo a due figure apparentemente antitetiche. La prima è quella di padre Guglielmo, prete di larga umanità e radicato in una fede che diventa accoglienza e comprensione, cui l’autore affida il compito di accompagnare Vittorio, l’ultimo dei Madonia-Santagata, alla scoperta del mistero di famiglia. La seconda è Tito Lucrezio Caro, l’eretico, l’epicureo, il razionalista apocalittico e visionario che alla scienza attribuisce una straordinaria potenza rasserenatrice.

E che ci faccia Lucrezio nel bel romanzo di Rino Romano ….. lo si scoprirà solo leggendo.

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