LA “GIORNATA VERBANESE” DI GIULIO CESARE RATTAZZI di Piergiorgio MENOTTI

Nel quarto anniversario della morte, offriamo ai nostri lettori una densa e commossa memoria di Giulio Cesare Rattazzi pensata nelle settimane immediatamente successive alla sua scomparsa: la passione per la politica, l’amore per la città.

Il passare dei giorni non attenua la sofferenza del distacco, anzi alimenta l’emozione e sollecita i ricordi, obbligando a ripensare affettuosamente ma anche criticamente l’intensa e variegata “giornata verbanese” di Giulio Cesare Rattazzi. Gli amici di strada e di scuola e i compagni di militanza del poliedrico mondo della politica, esemplarmente convenuti numerosi a salutarlo nella chiesa di San Vittore a Intra, mercoledì 27 giugno, hanno certamente analizzato e tuttora conserveranno a futura memoria una singolare esperienza di vita che non può, non deve essere cancellata dalla memoria personale e dalla storia della travagliata città di Verbania, a partire dagli anni del dopoguerra,

La sua vitalità culturale e politica è stata certamente multiforme e incontenibile, portandolo non solo ad occuparsi attivamente della endemica conflittualità locale e delle potenzialità terapeutiche, ma pure a ”curiosare” come ricercatore pragmatico iniziative singolari sparse in Italia e a conoscere, in tempi in cui la globalizzazione intesa come mondialità era un fatto eccezionale, luoghi estremi, dal Giappone alla Russia, gli Stati Uniti e la Mitteleuropa.

Ma è il Rattazzi “politico” cifra di una personalità che non si è mai adeguata alle logiche faccendiere e alle convenienze del “carpe diem” di partito.

Politico quindi tra virgolette perché non contiguo all’arte del compromesso opportunistico, ma certamente orientato, per formazione religiosa conciliare e militanza politica nell’area di sinistra, verso quello “storico” auspicato a livello nazionale nella seconda metà degli anni ’70.

La sua attività, fin dagli inizi, anni 1958/1960, essendo segretario provinciale dei Giovani D.C., si scontrò con i notabili novaresi del partito non disponibili ad un dialettico rapporto con le proposte progettuali delle nuove generazioni di cui era autorevole portavoce.

Rilevante poi, per l’esperienza vissuta e l’orizzonte delineato, è stato l’incarico negli anni 1960-1962 di segretario nazionale del Movimento Giovanile D.C.. Una iniziativa, tra le molte, di allora sembra essere particolarmente rilevante ed indicativa della sensibilità politica di Rattazzi rivolta, da Roma, agli organismi della periferia: sollecitava a promuovere nelle diverse province italiane “Corsi e Convegni di Studio sugli Enti Locali nella vita dello Stato democratico”. Agosto 1960!

Con il “ritorno a casa”, nel 1963, viene eletto ripetutamente Consigliere comunale e nominato Assessore anziano, non per età anagrafica, ma in qualità di vicesindaco.

L’impegno amministrativo di Verbania non gli ha impedito di essere ancora presente criticamente nella vita cittadina e provinciale del Partito D.C.: lo documenta il bollettino di notizie politiche a cura del Centro “Francesco Luigi Ferrari” che ha iniziato le pubblicazioni nel novembre 1968. Quanto scrive Rattazzi è ancora una volta indicativo della sua personalità non riducibile a categorie omologate o a imperativi del palazzo: “Sappiamo che fare o sostenere qualcosa di nuovo non è facile e non è comodo, e che per alcuni ciò che è nuovo non è gradito. Ma non per questo la nostra azione, modesta e convinta, rinuncerà a cercare di essere aperta e serena, come vorremmo che fosse sempre e tutta la D.C. novarese”.

Sono gli anni di un vivace e a volte radicale dibattito ideologico e del movimentismo sociale e politico, e Rattazzi, con la sensibilità culturale, prima ancora che politica, che lo contraddistingueva non si è sottratto al confronto dialettico e a scelte di appartenenza, quale l’adesione nel 1969 al Movimento Politico dei Lavoratori (MPL) fondato dall’ex presidente delle ACLI Livio Labor. Egli riconosce che “questi ed altri Movimenti (Il Manifesto, MPL) hanno una loro sorgente e una loro ideologia altrettanto valide e opinabili quanto quelle di altri partiti. Una volta che il movimento (MPL) è sorto con determinati presupposti e prefissati traguardi ha diritto di cittadinanza nella vita del Comune”.

La presenza di Rattazzi all’interno dell’Amministrazione comunale di Verbania, nell’arco di oltre trent’anni, anche se non sempre in sintonia con l’apparato politico e burocratico, ha caratterizzato la storia della città. Ma sono poi i suoi “liberi” interventi, elaborati prevalentemente a Torino, ad essere ancora oggi una preziosa documentazione dell’attenzione rivolta alla causa del V.C.O. e di Verbania. Le analisi e le conseguenti indicazioni di piste praticabili per un autentico sviluppo della città e del territorio, riflettono il rigore etico e la ricchezza di idee che ne hanno fatto una personalità non catalogabile secondo i criteri della pura efficienza e del riscontro elettorale, ma nell’ottica del cittadino attivo per l’affermazione dei valori fondanti il bene comune.

Singolare la personale presa di posizione di Rattazzi nei confronti dell’UOPA (Unione Ossolana per l’Autonomia), nata nel 1977. Per la Lega per le Autonomie e i Poteri locali del V.C.O. scrive nel 1979 un articolato opuscoletto intitolato L’Indipendentismo politico e l’unione Ossolana per l’Autonomia. Nonostante la polemica contestazione che l’iniziativa ossolana provocò nel Verbano e nel Cusio, con argomentazioni, per la verità, un po’ pretestuose e scontate, suggerite prevalentemente da istanze campanilistiche, argomentando controcorrente, egli non ha riserve di convenienza politica e, oltre a evidenziare le caratteristiche e gli effetti positivi dell’indipendenza, ipotizza gli sviluppi con questa ipotesi alternativa: movimento di opinione o movimento elettorale.

Quindi, il suo assillo premuroso per la città, è ancora confermato nel 1995 con la pubblicazione Verbania: città originale o città anomala? Contributo alla storia dell’urbanistica verbanese. Si tratta della raccolta di testi che confermano la professionalità che ha caratterizzato la personalità di Rattazzi e la sua specifica competenza rivolta ad un aspetto nevralgico della vita di ogni città, l’urbanistica, ma per una città singolare policentrica come Verbania, allora, anni ’60 e ’70 e ancora oggi, quasi patologico. Una citazione è illuminante della sua intelligenza che anticipava la dinamica evolutiva della convivenza cittadina e perciò la necessità di dotarsi per tempo di strumenti non puramente tecnici ma ricorrendo alla competenza di ricercatori accreditati nel settore. Nell’intervento in Consiglio Comunale dell’8 agosto 1972 egli parla della “conferma del P.E.E.P. come elemento integrante della struttura urbana” in risposta al “parere di chi ritiene che il P.E.E.P. sarebbe stranamente ubicato nella zona di S. Anna. Io sono un difensore del P.E.E.P.”. Un passaggio merita di essere richiamato e dopo quarant’anni suggerisce reattivamente l’interrogativo: quanto la sua visione di Verbania è ancora attuale? Dice il consigliere comunale: “Considerare il P.E.E.P. proprio in quella zona, permette che possano realizzarsi quelle attrezzature civiche, quei centri direzionali, quelle possibilità di presenza di uffici, banche, scuole, che lo rendano effettivamente un nuovo quartiere, un centro di zona e non soltanto alcune case popolari distaccate e abbandonate” (pag. 74).

I problemi connessi alla città, retaggio della sua origine, l’aggregazione di 9 frazioni, e le incertezze del futuro, soprattutto per la crisi di una economia industriale che ne aveva connotato lo sviluppo tra l’ ‘800 e il primo ‘900 non sfuggono a Rattazzi che scrive: “Tra originalità urbana e inquietudini umane, questa città merita considerazione, rispetto e amore” (pag. 96).

A fronte di una “passione” politica per Verbania così esplicitamente espressa e ancor più una competenza urbanistica acquisita non tanto dalla frequentazione dell’accademia, quanto con lo studio sistematico di un disegno appropriato per una “città originale o città anomala”, una domanda, a distanza di decenni, si impone ancora a chi ripercorre il succedersi degli eventi del decennio anni ’70: perché il creativo amministratore Rattazzi, certo non  riducibile ad una politica di basso profilo, ridotta ad occuparsi prevalentemente dell’hic et nunc, non è mai comparso e favorito nell’esito tra i nomi che le segreterie di partito designavano, secondo una prassi spartitoria a livello provinciale allora in vigore, alla carica di sindaco?

E lo sguardo del cittadino Rattazzi non si è limitato alla città di Verbania. L’istituzione della Provincia del V.C.O. lo ha visto coinvolto sia nella fase costituente e sia poi, dopo il 1992, nel costituirsi istituzionalmente degli organi amministrativi democratici. La sua analisi critica del nuovo Ente è affidata ad una nota scritta l’anno successivo le prime elezioni provinciali, nel 1996: Una provincia piccola piccola. Libere considerazioni sulla situazione della NUOVA PROVINCIA DEL VERBANO CUSIO OSSOLA, come contributo all’avvio di riflessioni e dibattiti.

Sottolineato come i problemi vitali di fondo del VCO, a cominciare da quelli occupazionali permanenti, contemplano un comune destino, “la Provincia, come entità democratica, non può non essere l’elemento fattivo di liberazione e sollecitazione delle belle energie della popolazione del V.C.O., dotandosi innanzitutto di sufficiente volontà, capacità e prestigio” (pag. 4). Obiettivo strategico ambizioso, che induce purtroppo allo scetticismo. D’altra parte è lo stesso Rattazzi che con arguzia scrive: “Un tempo nella politica del V.C.O. c’erano tenori e cori. Poi tenori senza coro. Ora i tenori hanno perso la voce e i cantanti attuali, troppo nuovi o troppo vecchi, si adattano solo alle canzonette. Le sinfonie non si sentono più” (pag. 5). Siamo nel 1996!

La prospettiva di poter ancora ascoltare le sinfonie grazie a una politica che armonizzi melodiosamente le realtà e potenzialità in essere, Rattazzi l’ha non solo teorizzata ma praticata assumendo nella prima metà degli anni ’90 l’incarico dirigenziale della TV locale, oggi Azzurra TV, e poi quello di segretario generale dell’Associazione TV locali “Terzo Polo”. E’ stata un’esperienza di frontiera: allora come oggi si trattava di trovare il riequilibrio del sistema televisivo, per salvaguardare la libertà di informazione, affidata non solo alla grande TV privata ma pure a quella locale.

Il volume pubblicato nel 1995, con la prefazione del costituzionalista Leopoldo Elia, intitolato L’ANTENNA NEGATA. Le vicende del sistema televisivo italiano tra iure condendo e iure còndito. Anzi, condìto è la raccolta di relazioni tenute tra il 1991 e il 1995, documento significativo della serietà politica con cui Rattazzi ha affrontato un problema che già allora era di difficile soluzione legislativa, nonostante fosse riconosciuto nodale per la vita democratica italiana.

Espressione eloquente del suo coinvolgimento e della sua determinazione a fare della informazione televisiva locale un impegno politico perché non rimanesse riserva aristocratica è la nota con cui accompagnava nel Natale 1995 l’omaggio del volume: “Quello dell’informazione e della comunicazione pubblica in zona è certamente tra i settori più smunti dove l’apatia e l’ignavia contano più della verità (omessa) e del coraggio (spento)”.

E’ un messaggio che trascende la circostanza e definisce la ricchezza interiore del personaggio, coerentemente con la propria identità e il percorso esistenziale dei suoi 75 anni. Moralità coniugata ad intelligenza, politica promozionale della dignità dell’uomo, scuola e città laboratori interagenti di convivenza civile e solidale.

Così Giulio Cesare Rattazzi: una miniera da esplorare che attende costantemente ricercatori e operatori di libertà. Non ci lascia una “eredità”, ma un contributo “vivo” e attuale al dibattito sul nostro futuro.

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