“L’han giurato li ho visti in Pontida convenuti dal monte e dal piano…” di Roberto NEGRONI

La Pianificazione Strategica è un percorso tutt’altro che facile, che necessita di determinazione, rigore, scrupoloso rispetto dei ruoli, ma che, quando riesce, produce risultati altrimenti non realizzabili. Una condizione necessaria per la riuscita è l’omogeneità sostanziale del territorio investito, cioè la presenza di fattori unificanti, aggreganti. Condizione che l’insieme dei cinque Comuni di Verbania, Baveno, Casale Corte Cerro, Gravellona e Omegna (estendibile anche ad altri circostanti) palesemente possiede.

Se non fosse che oggi Berchet non se lo fila più nessuno e che l’ameno borgo di Pontida se lo sono invece filato in troppi, questo potrebbe essere un buon titolo, di marca nazional popolare, di quelli che vanno bene un po’ a tutti. Anche se, a voler essere precisi, Pontida andrebbe sostituita con Casale Corte Cerro, il giuramento con un più prosaico patto formale tra Comuni e sia il monte che il piano non vanno presi proprio alla lettera.

Eppure è questo che è avvenuto e una conferenza stampa nella canicola di fine luglio ne ha dato annuncio urbi et orbi e nei giorni successivi gazzette cartacee ed on line pubblicavano fotografie in cui i sindaci di Baveno, Casale C.C., Gravellona Toce, Omegna e Verbania congiungono le mani tese a simboleggiare il patto sottoscritto. E non si pensi ad un patterello di poco conto! I cinque annunciavano la nascita del Piano Strategico della Città dei Laghi.

La denominazione è impegnativa, la sostanza lo è ancor più: una spiegazione si impone.

La pianificazione strategica è una metodologia di lavoro accuratamente strutturata e ampiamente sperimentata negli ultimi decenni in molte città e territori, sia in Italia che in numerosi Paesi che fino a ieri non avevamo dubbi a definire “a sviluppo avanzato”. Ciò che la caratterizza è l’essere una pratica partecipativa, cioè, rovesciando la consueta prassi che vuole l’iniziativa pianificatrice e programmatoria discendere dall’alto verso il basso, prende origine dal basso con un percorso che porta alla costruzione di un piano con il concorso paritetico di tutti gli attori pubblici e privati della comunità che possono essere portatori di interessi, di iniziative, di risorse per le problematiche affrontate (i cosiddetti stakeholders), organizzati in tavoli di lavoro tematici denominati Forum, e mira ad una condivisione forte e allargata delle opzioni che riguardano il futuro. Comporta perciò la scelta (o la consapevolezza dell’inevitabilità) da parte delle amministrazioni locali di procedere in modo corale con i soggetti attivi della società locale.

Comporta anche la prospettiva di una progettazione non parcellizzata o settoriale, ma che coinvolge tutte le politiche di competenza del governo locale, con un’azione che supera le tradizionali compartimentazioni operative mediante una pianificazione intersettoriale. Ne consegue che un simile processo non serve a dare risposte a problemi quotidiani o contingenti, ma guarda al futuro, progetta il medio e lungo periodo e guarda a interessi che sono propri della collettività nel suo complesso o per ampie sue componenti. In questo consiste la connotazione strategica della pianificazione.

Un percorso tutt’altro che facile, che necessita di determinazione, rigore, scrupoloso rispetto dei ruoli, ma che, quando riesce, produce risultati altrimenti non realizzabili. Una condizione necessaria per la riuscita è l’omogeneità sostanziale del territorio investito, cioè la presenza di fattori unificanti, aggreganti. Condizione che l’insieme costituito dai cinque Comuni (estendibile anche ad altri circostanti) palesemente possiede: l’assenza di soluzioni di continuità territoriale, il contesto ambientale condiviso con i suoi potenziali e i suoi vincoli, il comune retroterra produttivo-occupazionale, la condivisione dei principali problemi, l’appartenenza a comuni bacini organizzativi di servizi, le comuni radici storiche e l’elenco potrebbe continuare.

Una decina d’anni fa questi stessi Comuni con altri minori della zona diedero vita ad una Pianificazione Strategica della Conurbazione dei Laghi. L’esperienza non andò oltre la fase preparatoria perché si scelse di confluire in un parallelo piano provinciale (che, proprio perché più povero di fattori di omogeneità, non registrò poi memorabili successi). L’odierna riproposta segnala tre realtà: che i problemi d’allora stanno ancora sul tappeto e, semmai, si sono ampliati, si sono moltiplicati; che si riconosce che quel metodo di affrontarli rimane valido anche oggi, anzi probabilmente oggi questa consapevolezza è maggiore; che quell’ambito territoriale si conferma idoneo allo scopo (e nulla toglie ad altre possibili forme di aggregazione funzionale, Provincia inclusa).

Non sfuggono però due differenze sostanziali rispetto il decennio scorso. In primo luogo, il quadro locale ed il contesto generale sono profondamente mutati: lunghi anni di crisi hanno modificato a fondo le prospettive generali, sbarrando molte porte e restringendone altre, ed hanno inciso profondamente sul tessuto produttivo occupazionale e sociale locale; le comunità che oggi vivono questo territorio mostrano caratteri accentuatamente differenti (generalmente aggravati) da quelle dello scorso decennio, diversi sono i problemi, diverse le prospettive e lo studio preliminare, per quanto essenziale, condotto negli scorsi mesi nella fase preparatoria del processo di pianificazione avviato ben lo evidenzia.

In secondo luogo, non sarà probabilmente sfuggita la diversa denominazione: non più Conurbazione dei Laghi ma Città dei Laghi, una differenza non solo nominale, sostanziale. Il brutto sostantivo “conurbazione”, reperto del lessico tecnico di urbanisti e sociologi, indica quelle aree in cui più centri urbani, espandendosi, finiscono per saldarsi fra loro, per creare un continuum territoriale, un’unica area urbana caratterizzata però dal policentrismo. Chi abita a Verbania non deve far la fatica di andarla a cercare: in una conurbazione ci vive, una conurbazione che ormai, dopo laboriosi decenni di integrazione, si riconosce non soltanto formalmente come città.

Analogo fenomeno è avvenuto in un tempo un poco posteriore su scala più ampia, lungo l’asta Verbania-Gravellona T.- Casale C.C.-Omegna con relative adiacenze ed includendo il segmento di Baveno (come pure è successo lungo l’asta Villadossola-Domodossola-Crevoladossola), i cui residenti sempre più si sono abituati a vivere questo territorio come un’unica vasta area urbana. D’altra parte, in realtà territoriali come queste, di estensione contenuta con piccole aree urbane contigue l’una all’altra e popolazione modesta, tutti i sistemi organizzativi dei principali servizi già da tempo superano i perimetri municipali. Quindi non deve stupire che, volendo guardare avanti (ma si ricordi l’anticipazione rappresentata già negli anni Settanta dal Consorzio per lo Sviluppo del Basso Toce), si incominci a riconoscere almeno la dimensione sostanziale, se non ancora quella istituzionale, di questa realtà e si avvii insieme un processo di pianificazione che ponga le basi per uno sviluppo comune. Che, in concreto, significa individuare e attuare insieme progetti che investano le aree tematiche ritenute strategiche, cioè decisive per orientare processi evolutivi per il prossimo futuro.

Le aree strategiche verso cui i cinque Comuni hanno scelto di indirizzare prioritariamente l’attenzione sono quattro: la ripresa dell’edilizia orientata al riuso e alla riqualificazione urbana, lo sviluppo produttivo-occupazionale nel settore della valorizzazione del riciclo dei rifiuti, il welfare locale considerato nell’accezione estesa, non soltanto assistenziale, di benessere e qualità della vita e la ricerca dei fondamenti e dei fattori idonei a produrre un riposizionamento competitivo dell’intera area. Da qui partirà dopo l’estate, esaurita la fase preparatoria, la fase attuativa del processo con la convocazione nei Forum tematici dei portatori di interesse, e da qui si svilupperà poi il processo che dovrà vedere, dopo il primo step di progettazioni, altri seguire, investendo altre aree, perché la pianificazione strategica è, almeno teoricamente, un processo che non si estingue, ma costantemente si allarga e si rinnova.

Fantascienza? Sogni? Utopie? Di certo una sfida impegnativa e articolata su più fronti. La scelta delle cinque amministrazioni (e di quante altre si aggregheranno) di cooperare, in nome di una visione alta e di prospettiva, che richiede una costante volontà e uno sforzo continuo di mediazione e concertazione, che non sempre ripagherà pronta cassa e che dovrà resistere ai naturali cambi delle amministrazioni. La necessità di coinvolgere nell’operazione i soggetti più attivi della società locale, di mantenere alta la motivazione, di non deludere. La difficoltà di un rapporto tra pubblico e privato tradizionalmente non facile, che soprattutto richiederà un impegno da parte dei decisori politici a garantire pariteticità nei Forum facendosi garanti dei ruoli. Un percorso operativo lungo e inevitabilmente complesso, perché deve armonizzare visioni, orientamenti e interessi differenti in nome del perseguimento di un bene comune. L’imperativo della concretezza, perché i Forum e la Pianificazione Strategica non sono i luoghi dell’accademia, ma della traduzione di idee in progetti che vanno poi attuati. La luce dei riflettori, perché il processo è condotto collettivamente, avviene pubblicamente e la ripartizione delle responsabilità è trasparente.

Insomma, ce n’è per non annoiarsi. Buon viaggio e good luck.

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1 risposta a “L’han giurato li ho visti in Pontida convenuti dal monte e dal piano…” di Roberto NEGRONI

  1. pensieri di zorro scrive:

    Gentili Zanotti e Negroni,abbiamo letto con interesse l’articolo “L’han giurato….”dove si affronta la fondamentale questione di una “pianificazione strategica”condivisa per affrontare e dare risposte alle neccessità e problematiche proprie dei cittadini di un territorio omogeneo nelle sue specificità.
    Siamo naturalmente d’accordo sul metodo: pianificare e avere una strategia è sicuramente fondamentale per ottenere risultati qualificanti.
    Quello che ,secondo noi,non è molto chiaro sono i contenuti,cioè pianificare che cosa per ottenere cosa?
    Nell’articolo si parla anche di “conurbazione” in quanto possibile strategia per il medio-lungo periodo,ebbene in merito avremmo qualcosa da dire,anzi,l’abbiamo già detto in un post di quache tempo fa’ dal titolo appunto”Di conurbazione vivremo o moriremo?!”.
    Vi riproniamo,qui di seguito,il post nella speranza possiate leggerlo e,magari, dirci la vostra opinione per alimentare il dibattito su un tema cosi’ importante per tutti noi. Grazie per l’attenzione e cordialissimi saluti. GRUV.

    DI CONURBAZIONE VIVREMO O…… MORIREMO? (9 luglio 2015)

    Con il post dal titolo “Fare soldi e…agire razionalmente” abbiamo cercato di mettere a fuoco quello che ci sembra il nocciolo dei noccioli. Proviamo a riassumere.
    Il meccanismo oggettivo della Libera Economia di Mercato trasforma quelli che dovrebbero essere strumenti (economia, denaro, scienza, tecnica, conoscenza, cultura) in scopi della attività umana.
    E quello che doveva essere lo scopo (eco-nomia ovvero cura della casa) in strumento per far “girare l’economia”. Ciò è irrazionale. Il capovolgimento di senso sul quale si fonda, in questa “logica”, l’agire umano determina inevitabilmente una infinita catena di controsensi, di non sensi e di assurdità. Non occasionali. Sistematici. Sistemici. L’infinita catena di controsensi, di non sensi e di assurdità. determina lo spaventoso garbuglio di irrisolvibili problemi nel quale siamo sempre di più ingarbugliati.

    Cercheremo, d’ora in avanti, di mettere alla prova la “teoria” applicandola ad una serie di casi concreti. Anche locali.

    Una delle infinite occasioni di mettere alla prova la “teoria” secondo la quale in economia di mercato è quasi impossibile agire razionalmente ce la fornisce la riesumazione, avvenuta nello scorso mese di febbraio da parte del Prof. Zanotti e del Partito Democratico, del concetto di pianificazione strategica -nientemeno- circa un non meglio precisato processo di conurbazione quale storica -nientemeno- occasione di sviluppo economico per il vasto territorio lacustre e pedemontano del quale facciamo parte.
    A parte il fatto che parlare di pianificazione e per giunta strategica in regime capitalistico, dove la regola fondamentale della economia di mercato è la più totale anarchia delle singole iniziative private e dove l’unica “pianificazione ” possibile è quella tattica e miope del privato investitore di capitale in funzione esclusiva della congrua remunerazione dell’investimento e nel più breve tempo possibile, parlare di questo dicevamo, rappresenta una pura e semplice ma autentica presa per i fondelli. Questo a parte, cerchiamo di entrare nel merito.

    Già il suono della brutta parola -“conurbazione”- fa venire i brividi. Siamo comunque andati a documentarci per cercare di capire cosa è.

    “Una conurbazione è un’area urbana comprendente alcune città che, attraverso la crescita della popolazione e l’espansione urbana, si sono saldate tra di loro e hanno formato un’area uniforme e continua” (Wikipedia).

    Il significato della brutta parola è chiarissimo.
    Tradotto in italiano: massacro del territorio allo scopo di guadagnare soldi. Più elegantemente: “a fini speculativi”.
     
    La Verbania che ognuno di noi può vedere oggi è il risultato della conurbazione di un certo numero di oneste frazioni originarie (Intra, Pallanza, Suna, Cavandone, Fondo Toce, Zoverallo, Biganzolo, Possaccio) con una loro dignità storico-ambientale-paesaggistica ancora oggi rintracciabile, sia pure con una certa fatica, nel caotico coacervo di pessima edilizia che le ha -appunto- conurbate.
    Il punto di avvio del massacro con-urbano ha -quasi- coinciso, non casualmente, con la costruzione della cosiddetta “variante” Beata Giovannina-Villa Taranto. Quello della collina con la riconversione della ferrovia Intra-Premeno in comoda strada asfaltata.
    Erano tempi nei quali si ponevano le basi di quello che sarebbe stato -così si pensava- il benessere. A base di traffico automobilistico, aria sporca, falansteri collettivi chiamati condomini, piastrelle, piastrelline, asfalto, asettici arredamenti in ultralavabile, igenicissima formica. E altro. Di “qualità”.
    Non vogliamo far qui il lungo elenco degli orrori e dei massacri perpetrati nei confronti delle aree libere tra frazione e frazione a partire dai primi anni sessanta del novecento. Basta munirsi di una onesta bicicletta -in auto non si vede niente- ed andarsi a documentare con i propri occhi.
    Per quello che non si può vedere perchè non c’è più come l’ardito ponte Cobianchi ad arcata unica che scavalcava il S.Bernardino nei pressi di Villa Maioni, fatto saltare con la dinamite, e che oggi ci andrebbe benissimo per farvi transitare le biciclette, rimandiamo alla prezoiosa documentazione fotografica costruita da Enzo Azzoni nei suoi bellissimi libri.
    Si badi bene alla coincidenza temporale tra il “miracolo economico sviluppista” di quegli anni e la devastazione.

    Allora se c’è una cosa che dimostra in modo inoppugnabile la totale inconciliabilità tra fare soldi e agire razionalmente questa è proprio la storia di quel fenomeno letteralmente cancerogeno che è stata -ed è- la conurbazione in Italia. E non solo in Italia.
    Eppure non sono mancati, a quanto sembra, una serie infinita di Piani Regolatori generali e particolari.
    Per “regolare” che cosa?
    Sei sette piani più eventuale mansardato, immani pareti cieche a confine, distanze ridottissime tra le costruzioni, fagocitazione di ogni spazio libero anche di prorietà comunale (vedi area ex macello di Suna), pozzi profondi, angoscianti e bui per gli accessi alle autorimesse, facciate oscene in piastrelline cm.2×2 da cesso pubblico -e neanche quello- assolati parcheggi al posto dei praticelli superstiti, cedri del Libano abbattuti per guadagnare qualche posto auto in più……
    Piani “regolatori” per “regolare” che cosa?
    La “banale” domanda dell’ingenuo cittadino meriterebbe una risposta, da parte degli addetti ai lavori, in grado di smentire -se possibile- la netta sensazione. Ovvero che si sia operato in funzione di un unico criterio che niente ha a che vedere con la razionalità urbana e/o conurbana. Ovvero il criterio del massimo possibile tornaconto monetario (fare soldi) per possessori di terreni, operatori del settore edilizio e relativo indotto. Non ultimi gli Enti Pubblici “regolatori” che hanno incassano, e incassano, tributi vari e oneri di “urbanizzazione”. Il tutto ha prodotto un “benessere” tra virgolette per il quale solo oggi alcuni di noi cominciamo ad intravedere quello che ci è costato. E che ci costerà. Alcuni. Non tutti. Visto che qualcuno, non contento, non ancora convinto, rilancia.

    Alla prima conurbazione che ha saldato le verbanesi frazioni originarie di cui abbiamo accennato ne è seguita una seconda che si è incaricata di divorare gli ameni spazi liberi collinari della fascia pedemontana. A base di villette con giardino. Paradossalmente per amanti del verde.
    Ed una terza lungo i congestionati assi di traffico, in particolare tra Verbania-Gravellona-Omegna. A base di megarotonde, capannoni giganteschi, assolati parcheggi asfaltati, distributori di benzina, sterminati centri commerciali, traffico intasato, cartelloni pubblicitari di ogni bruttura. E altro.
    Il risultato è lì da vedere. Un magnifico posto meravigliosamente incastonato tra laghi, boschi e montagne, trasformato nel giro di neanche mezzo secolo in un invivibile coacervo conurbativo nel quale le uniche cose che si salvano sono le “eccellenze” di prima della conurbazione. Le ville storiche dei ricchi e i nuclei storici della popolazione. Le eccellenze che “girano”, non a caso, sui -pochi- depliant turistici.
     
    Insomma il risultato della prima,della seconda e della terza conurbazione è stato letteralmente devastante anche se indubbiamente ha fatto guadagnare parecchi soldi. A molti. Ma con lo “sviluppo” “economico” “conurbativo” l’anima del paesaggio è morta. E con essa, probabilmente, quella dei suoi abitanti. Vale a dire noi. Per fare un esempio tra i tanti che si potrebbero fare: fenomeni sempre più frequenti di cosiddetta “disumana, incomprensibile, follia personale”, ma anche soltanto di una sorta di “normale” disaffezione, troverebbero nel devastante fenomeno conurbativo che costringe la vita tra mancanza di spazio libero ed indicibili brutture, una -una delle tante sia chiaro- spiegazioni possibili di ordine “razionale”. Non per niente il termine “angoscia” deriva da angustia, angusto, stretto, soffocante. Solo chi è stato nel deserto, dove finalmente si può trovare “soltanto” spazio libero riesce a capire davvero la valenza liberatoria e spiritualmente rigenerante di esso.
    Che ora qualcuno ci riproponga una quarta conurbazione, addirittura megaterritoriale, facendo addirittura di questo tipo di “strategia “”economica” “conurbativa” nientemeno che lo sbocco per il nostro futuro, e quello dei nostri figli, ci sembra davvero curioso. Per non dire altro.

    Ma forse abbiamo capito male. Se del caso ce ne scusiamo.
     
     
     

    per comunicare con noi l’indirizzo è pensieridizorro@gmail.com  

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