MISERIA E VERGOGNA DI UNA CITTA’

Tutto ciò non è capitato per caso. Quando, nella primavera del 2009, il Centrosinistra metteva in guardia la città dal “salto nel buio” che si sarebbe determinato con la vittoria alle “Comunali” della Destra, parlava con piena e lucida cognizione di causa

Suscitano ad un tempo impressione, pena e ribrezzo i contenuti dell’ultima esternazione di Zacchera sui fatti che hanno determinato – ormai un anno fa – le sue dimissioni da sindaco. Tra le molte ricostruzioni del disperato monologo pubblicate dai blog locali,  proponiamo ai nostri lettori l’ampio pezzo comparso su La Stampa, che dà conto in maniera puntuale dei “materiali” (chiamiamoli così…) riversati dall’ex sindaco sulla comunità verbanese.

Sono esternazioni che rivelano uno “spaccato” impressionante e miserevole della Destra verbanese. I fatti in sé sono però di straordinaria pochezza politica: un sindaco che vorrebbe cambiare l’addetto-stampa e (incredibile a dirsi!) non riesce a imporsi a un pezzo della sua scombinata Giunta; che vorrebbe cambiare qualche assessore e (incredibile a dirsi!) non riesce a imporsi alla sua riottosa Maggioranza; il capogruppo del PdL che, per aver mandato al sindaco una lettera di critica politico-amministrativa, viene additato come un traditore a capo di un manipolo di congiurati. Insomma, il consueto piagnisteo di Zacchera, reso plasticamente da questa dichiarazione virgolettata: “Mi hanno detto che, se cacciavo Parachini, non mi assicuravano [i capataz del PdL, ndr] la maggioranza. Cosa potevo fare? La legge dice che spetta al sindaco scegliere gli assessori, ma la squadra, addetto-stampa compreso, mi erano stati imposti. Un condensato di impotenza, di incapacità, di vittimismo: la legge gli garantisce piena libertà di azione, ma lui lascia che tutto gli venga “imposto”. In queste mani è stata la città per tre anni e dieci mesi.

Poi c’è la miseria infinita degli uomini. Il pettegolezzo digitale durante le riunioni di Giunta. La pratica del dossieraggio per tenere sotto pressione gli “amici”. Il futile chiacchiericcio nutrito di sms e di mail sugli smart. Il guardonismo informatico praticato ravanando nei computer del Comune. L’allusione ammiccante alle “tendenze sessuali” (sic!) di un assessore. Infine, la Lettera Anonima. Il Corvo. Un assessore e l’addetto-stampa che a maggio davanti al Gip si giocheranno l’archiviazione o il rinvio a giudizio per il reato di minacce. E poi l’ex sindaco e gli ex assessori pronti alla corrida giudiziaria, tra querele e controquerele per diffamazione e per calunnia: un cupio dissolvi che il 25 maggio le urne certificheranno. E’ difficile non provare ribrezzo.

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Poi c’è la politica. O quello che ne resta. Tutto ciò non è capitato per caso. Quando, nella primavera del 2009, il Centrosinistra metteva in guardia la città dal salto nel buio che si sarebbe determinato con la vittoria alle “Comunali” della Destra, parlava con piena e lucida cognizione di causa. Sapeva perfettamente quale fosse il profilo etico-politico delle liste dei “cambiaverbania” e del loro candidato-sindaco. Sapeva cosa sarebbe divenuta, nel volgere di pochissimi anni, la città nelle mani degli Zacchera, dei Cattaneo, dei Montani, dei De Magistris, di tutti coloro che con baldanzoso e interessato masochismo stavano in coda per un posto: una Destra “sociale” un tempo orgogliosa e poi completamente addomesticata, l’invertebrato UdC, l’inconsistente lista civica, gli “indipendenti” pronti per un nuovo e diverso giro di giostra.

Ne era così lucidamente consapevole, il Centrosinistra, che per tre anni e dieci mesi ha combattuto ogni giorno la dura e difficile battaglia di un’Opposizione che sentiva su di sé il peso di una responsabilità che travalicava i confini del proprio schieramento, che avvertiva l’urgenza di una resistenza civile prima ancora che politica, che sapeva di combattere per tenere viva la dignità di un’azione e di una presenza di governo amministrativo lunga decenni. E che forse sarebbe rinata.

Ma Verbania di ciò non s’è accorta. Stordita dalla crisi economica e occupazionale, orfana di luoghi, media e persone che in altri tempi l’avrebbero aiutata a comprendere, circonvenuta da chi avrebbe dovuto governarla, la città si è chiusa su se stessa e, schifata, ha rinunciato a capire. Capire dove sia il torto e dove la ragione. Capire quanto estesa e quanto profonda sia la devastazione che lasciano in eredità i cambiaverbania.

Di questa città sarà molto difficile ricostruire il volto.

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