Orazione per la Festa della Liberazione – Ghiffa

La ricorrenza che oggi, pur posticipata di due giorni, insieme celebriamo in questo luogo cosi significativo per la storia della comunità di Ghiffa e così affollato di cittadini e di autorità, è divenuta una festa che ad un tempo unisce e divide. Essa è infatti un potente catalizzatore di umori, paure, speranze, risentimenti ed entusiasmi: riesce perciò difficile concepirla e viverla come la festa di tutti gli Italiani, perché le passioni che suscita risuonano ancora come dissonanti e in qualche caso addirittura tendenzialmente contrapposte.

Eppure la ricerca storiografica più consolidata e autorevole ha ormai ampiamente indagato i significati della vicenda resistenziale ed ha individuato nel 25 aprile l’evento culminante di una storia complessa e articolata. Nell’anno e mezzo intercorso tra 8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 non si è combattuta una guerra, ma tre guerre: in altre parole, si può affermate che la Resistenza è stata concepita e vissuta ad un tempo come una guerra patriottica combattuta tra italiani e tedeschi per la liberazione del suolo nazionale, come una guerra civile che ha opposto italiani a italiani e cioè fascisti ad antifascisti e infine come una  guerra di classe tra proletariato e borghesia. Ciascuna di queste guerre ha avuto i suoi protagonisti, i suoi luoghi e i suoi tempi, le sue efferatezze, le sue ragioni riconducibili alle motivazioni che avevano spinto ogni singolo resistente a scegliere l’opposizione al regime repubblichino e all’invasore nazista. La ricerca storica ha portato alla luce i caratteri propri di questo conflitto uno e triplice e li ha fatti emergere dentro la storia di quella che chiamiamo prima repubblica, quando erano presenti e attive sulla scena politica nazionale quelle forze politiche che traevano direttamente origine dai filoni ideali ai quali si richiamavano i protagonisti della Resistenza e che in qualche misura ne avevano orientato la militanza verso l’una, l’altra o l’altra ancora delle tre guerre sopra richiamate.

Quando poi tra il 1989 e il 1992 si è radicalmente mutato il quadro politico italiano con la scomparsa dei partiti tradizionali e il passaggio a quella che viene ormai definita seconda repubblica, sono venute meno le ragioni fortemente ideologiche che avevano contrapposto per oltre quarant’anni le forze politiche uscite dalla seconda guerra mondiale. Eppure, il venire meno della manifesta ed evidente contrapposizione ideologica non ha favorito la piena condivisione del 25 aprile come festa di tutti. Anzi, in questi quindici anni sono sembrate rinascere con ancora maggiore virulenza le contrapposizioni ideologiche e le tentazioni a sminuire, ridimensionare, circoscrivere e in qualche caso delegittimare la portata della Liberazione dal nazifascismo: paradossalmente, lo scontro ideologico si è riproposto con maggiore intensità proprio nel momento in cui scomparivano le grandi organizzazioni politico-sociali che avevano tenuto vive per decenni le ragioni di contrapposte ideologie.

E’ sorprendente che vengano oggi presentate come novità straordinarie e dirimenti vicende ed episodi ampiamente noti e adeguatamente indagati. Mi riferisco alla violenza rivoluzionaria e classista che nell’immediato dopoguerra ha seminato morte in diverse parti del Paese, mascherando spesso con ragioni ideologiche violenze private, vendette, regolamenti di conti, ruberie. Mi riferisco al documentato atteggiamento di continuismo afascista che si è mantenuto all’interno di molti corpi dello Stato nel passaggio dal regime di Mussolini a quello democratico del dopoguerra. Mi riferisco alla pratica della pavida rimozione che ha suggerito – e faccio solo due esempi, che credo comunque particolarmente significativi – al Ministro della Pubblica Istruzione nel 1955 di emanare una circolare nella quale si invitavano le scuole a ricordare il 25 aprile come anniversario di Guglielmo Marconi, non come data della Liberazione d’Italia; oppure quella che ha indotto gli organi dello Stato a trascurare omissivamente le richieste provenienti da più parti perché venisse dato il giusto riconoscimento postumo ad un eroe come Giovanni Palatucci, funzionario di polizia, che a Fiume tra il 1943 e il 1944 salvò centinaia di ebrei e di patrioti, morendo poi in campo di concentramento. Mi riferisco da ultimo alla realpolitik imposta nei lunghi decenni della guerra fredda, che fece passare sotto silenzio la vicenda drammatica del cosiddetto “confine orientale”, delle foibe istriane e dell’esodo giuliano-dalmata tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 e derubricò a evento di limitata importanza la firma nel 1975 del Trattato di Osimo, con il quale veniva ceduta definitivamente alla Iugoslavia la cosiddetta “zona B” a ridosso di Trieste.

Concludo questa breve riflessione indicando quello che io ritengo sia oggi l’insegnamento più attuale della festa della Liberazione. Esso non risiede certo della enfatizzazione polemica di una contrapposizione ideologica che non ha più ragion d’essere e neppure nell’evocazione di fatti che si vorrebbero proporre come del tutto nuovi e sconosciuti, mentre fanno parte da decenni della consapevolezza più avvertita della nazione. L’attualità del 25 aprile risiede forse nel lascito morale, civile e ideale di quei ragazzi di vent’anni che hanno dovuto scegliere in una manciata di mesi da quale parte schierarsi e hanno scelto la parte della libertà e della democrazia. E’ bello rileggere i loro testi privati, le loro lettere, i loro diari e scoprire come sia maturata la decisione di mettere consapevolmente in gioco la vita pur di non tradire un ideale di libertà che prepotentemente si affacciava dopo vent’anni di dittatura fascista. La decisione d’allora ha poi guidato questi ragazzi, divenuti uomini, negli anni a venire e ha costituito un preziosissimo e straordinario giacimento di senso morale che ha sostenuto e fatto grande l’Italia sino ad oggi. Per noi quegli uomini e quelle donne hanno i volti e i nomi di Maria Peron, di Nino Chiovini, di Teresa Binda, al cui figlio – il partigiano Gianni Saffaglio – ha ricevuto due giorni fa dalle mani di Giorgio Napolitano la medaglia d’oro al merito civile in memoria della madre fucilata dai nazisti a Beura nel giugno del ‘44. E di tanti e tanti la cui memoria resta viva e integra, come quella dei ragazzi uccisi a Trarego il 25 febbraio del ’45 e sepolti in questo cimitero di Ghiffa.

Per noi, che ricopriamo una carica così significativa e importante come quella di Sindaco della nostra comunità, non vi è responsabilità più grande di quella di dare voce ai sentimenti di riconoscenza e di gratitudine di una popolazione che anno dopo anno, attraverso i suoi rappresentanti democraticamente eletti, riconosce nei ragazzi d’allora coloro che ci hanno restituito la libertà di cui ancora oggi godiamo”.

Claudio Zanotti, sindaco di Verbania

San Maurizio di Ghiffa, 27 aprile 2008

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