SICCITA’ E PATRIMONIO IDRICO: VERBANIA DEVE AGIRE di Claudio ZANOTTI

Se è vero che la nostra città può beneficiare di imponenti riserve in falda alimentate dal lago e dai corsi d’acqua che del lago sono tributari, il progressivo e non reversibile peggioramento della qualità dell’intero corpo idrico impone anche alla nostra città un profondo ripensamento dell’utilizzo del nostro oro blu. A fronte di queste urgenze, le risposte delle istituzioni locali non sembrano ancora all’altezza della sfida: preservazione e potenziamento dei pozzi di captazione (a partire da quello di piazza F.lli Bandiera), se e dove prelevare acqua dal lago, politiche di risparmio, recupero e riciclo idrico, riduzione delle perdite della rete acquedottistica.

La serata sulle implicazioni locali della perdurante siccità, organizzata da Nico Scalfi per AmbienteVerbania lo scorso 29 marzo, è stata un’importante occasione per offrire ai cittadini (accorsi numerosi) una efficace fotografia delle condizioni di stress in cui per la scarsezza delle precipitazioni e la riduzione dell’accumulo montano di ghiacci e neve versano ormai da tempo il lago Maggiore, il suo imponente bacino imbrifero e, a cascata, il sistema irriguo della pianura padana piemontese. Affidata alle puntuali relazioni dell’ ing. Ciampittiello (leggere qui) e della d.ssa Boggero (leggere qui) del CNR di Verbania e del dr. Igor Boni (leggere qui) dell’IPLA del Piemonte, la ricognizione sulle implicazioni territoriali della siccità accende un faro interessante anche sulla realtà verbanese, alla quale dedichiamo qualche riga di approfondimento.

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Se è vero che la nostra città può beneficiare di imponenti riserve in falda alimentate dal lago e dai corsi d’acqua che del lago sono tributari, il progressivo e non reversibile peggioramento della qualità dell’intero corpo idrico (aumento delle temperature delle acqua e conseguente mancato rimescolamento invernale periodico dei volumi idrici in profondità, riduzione dell’ossigenazione, fioriture algali e cianobatteri, mancato rispetto del deflusso minimo vitale di fiumi e torrenti, dilavamento di inquinanti per piene improvvise…) impone anche alla nostra città un profondo ripensamento dell’utilizzo dell’oro blu. Le questioni più urgenti e delicate sono riferibili alla preservazione della qualità e della produttività dei nostri pozzi di captazione in falda, alla possibilità di prelevare l’acqua di qualità direttamente dal lago a distanza e profondità adeguate, alla definizione di politiche attive di risparmio e di riciclo di acqua, alla riduzione delle perdite della rete acquedottistica cittadina (sino al 53% secondo le ultime rilevazioni).

A fronte di queste urgenze, le risposte delle istituzioni locali non sembrano ancora all’altezza della sfida. Nel primo decennio del secolo le politiche di ciclo idrico sono state particolarmente intense e mirate. Ricordiamo in particolare il riscatto da parte del Comune della quota di SPV in mano ai privati (2005) e la creazione (2007) della società pubblica interprovinciale Acqua Novara Vco, che ha unificato in una grande struttura industriale una gestione di acquedotti, fognature e depuratori polverizzata in 27 entità lillipuziane e diseconomiche; l’ampliamento della captazione in falda con il ripotenziamento del pozzo di via Brigata Valgrande Martire (2008), anche in previsione del nuovo teatro in piazza F.lli Bandiera; la previsione di realizzazione di un impianto di captazione di acqua dal lago di Mergozzo all’interno della convenzione urbanistica dell’ex Colonia Motta (2007); la realizzazione di iniziative finalizzate alla riduzione dei consumi domestici (distribuzione gratuita di frangiflusso per i rubinetti; obbligo nelle nuove costruzioni di prevedere impianti per il recupero e riutilizzo delle acque piovane…).

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Successivamente l’attenzione è invece drasticamente calata, nonostante il grave caso (2012) di inquinamento da benzene e da etere diisopropilico della falda che serviva l’abitato di Sant’Anna, a cui è seguita la chiusura (che dura tuttora) del pozzo 9. Anche la grandi perdite della rete idrica (tra il 40 e il 50%) rilevate anno dopo anno da almeno una quindicina d’anni non sono state indagate né per scoprirne le cause (a parere di chi scrive sarebbe importante verificare la contabilizzazione dell’acqua che la rete di Verbania immette in quelle di Arizzano e di Vignone grazie a un “anello” di approvvigionamento realizzato dopo la torrida estate del 2003), né per programmare interventi mirati di rifacimento dei tratti di rete ammalorati. Rifacimenti per i quali solo ora sono diventate disponibili le imponenti risorse del PNRR assegnate ad Acqua Novara Vco (20 milioni per le due province compresi i 4 in autofinanziamento, di cui 3 milioni per la riduzione delle perdite e la digitalizzazione dell’acquedotto di Verbania). La recente ripartenza dell’iter di recupero dell’ex colonia Motta (qui) e la necessità di rivedere profondamente la bozza di convenzione urbanistica costituiscono l’occasione per verificare la sussistenza delle condizioni di fattibilità della captazione di acqua dal lago di Mergozzo, in grado ad un tempo di preservare l’equilibrio ecologico di quel piccolo bacino idrico e di integrare il fabbisogno idrico estivo delle strutture turistiche tra Suna e Fondotoce.

Last, but not least, il principio di cautela che deve guidare le scelte politico-amministrative in tempi di accelerato cambiamento climatico suggerirebbe ai decisori locali di accantonare il confuso progetto di piazza F.lli Bandiera (vedi qui e qui), che tra i molti e insuperabili limiti urbanistici e tecnico-economici presenta anche quello di dismettere definitivamente il pozzo n. 1, già ora di grande importanza per l’approvvigionamento idrico della città. L’alternativa immaginata (sostituire il pozzo 1 con un impianto di captazione diretta di acqua dal lago all’altezza di Villa Taranto) non soltanto risulta straordinariamente onerosa, ma appare radicalmente indebolita dal progressivo peggioramento qualitativo delle acque più sopra richiamato. La revoca del progetto di piazza F.lli Bandiera sarebbe indice di lungimiranza e buonsenso: salvaguardare la funzionalità un pozzo dell’acquedotto, evitando al contempo di pregiudicare con un intervento dai costi esorbitanti (almeno 7 milioni) uno spazio strategico per la città che merita ben altra considerazione. Insomma, due piccioni con una fava.

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