RAGIONARE POLITICAMENTE: DI SANITA’, DI OSPEDALI NUOVI, UNICI O PLURISEDE. E DELLE “ATTESE DELLA POVERA GENTE”

Proponiamo questo articolo certamente lungo, forse ragionato e – speriamo – almeno sufficientemente documentato. Ci sostiene in questo sforzo la memoria della nostra ormai antica militanza politica e amministrativa, in tempi in cui la politica non aveva timore di “compromettersi” con tutto ciò che Giorgio La Pira nei primi anni ’50 chiamava “le attese della povera gente” e non si nascondeva dietro i totem della competenza, della “tecnicalità”, della professionalità. La politica ha il compito ineludibile di assumere queste “attese” e il dovere di trovare risposte adeguate mobilitando le competenze, le conoscenze e le professionalità, per farne poi sintesi intellettuale e morale. Per assumersi cioè sino in fondo le proprie responsabilità, non per farsene schermo.

VERBANIAVENTITRENTA

Qualche mese fa su queste pagine si ragionava del cambio di paradigma radicale che la pandemia ha imposto anche alla pianificazione e alla programmazione delle politiche sanitarie del Vco (in primis, rete ospedaliera e assistenza sul territorio). Da allora sono intervenuti alcuni fatti nuovi (Piano Ires, compressione/riduzione delle attività ospedaliere al “Castelli”, tentativi di mobilitazione dei cittadini mediante raccolta di firme, costituzione di nuovi Comitati a difesa del nosocomio cittadino…) che – pur non modificando l’impianto generale della nostra posizione d’allora – reclamano un sovrappiù di approfondimento.

Piano Ires. Il fatto più rilevante è certamente costituito dalla diffusione del Piano Ires, commissionato dalla Regione Piemonte per tentare – senza riuscirvi – di dare consistenza tecnico-scientifica alla politicamente preconfezionata (ottobre 2019, vedi gli articoli qui) ipotesi di realizzare il nuovo ospedale provinciale a Domodossola. Il Piano – una ventina di pagine di impianto prevalentemente ricognitivo con ampio uso di tabelle di scarsa o nulla utilità e prive di ogni sviluppo argomentativo – si risolve in questa manciata di righe a pagina 15: “l’intervento si articola in tre percorsi: realizzazione di un nuovo ospedale da 250 posti letto …a Domodossola; riordino dell’ospedale di Verbania per ricevere 125 posti letto; adeguamento del C.O.Q. Madonna del Popolo di Omegna per il mantenimento delle funzioni e dei letti attuali (specialità ortopediche, riabilitative e 116 posti letto). Si tratterebbe quindi di una rete con un polo specialistico per l’ortopedia e la riabilitazione (Omegna), un polo multispecialistico d’eccellenza (Verbania) e un polo multispecialistico di capacità [a Domodossola]”.

In sostanza, la proposta di realizzare un nuovo ospedale a Domodossola e non a Verbania viene giustificata facendo riferimento a due condizioni, di cui la prima infondata e la seconda imprecisata e improponibile. Vediamole. Il testo Ires muove dall’assunto che la rete ospedaliera sia squilibrata a favore dell’area sud-est della provincia (il Verbano), stante la presenza del Castelli, dell’Eremo e dell’Auxologico e che per questa ragione sia necessario un nuovo ospedale spoke di rilievo provinciale a Domo. E’ invece noto – a tutti e da sempre – che Auxologico ed Eremo non vanno considerati ospedali provinciali, ma strutture private accreditate che servono un bacino d’utenza che travalica i confini del Vco e si rivolgono a una platea di pazienti regionale, sovraregionale e nazionale, alla quale offrono prestazioni che nulla hanno a che vedere con l’urgenza, l’ampiezza di casi e l’alta intensità di cure proprie di un ospedale pubblico spoke provinciale (Auxologico: riabilitazione cardiologica e neurologica, endocrinologia e malattie del metabolismo, cura dell’obesita; Eremo: lungodegenza, riabilitazione respiratoria e neuromotoria, letti “di sollievo” post ricovero, stati vegetativi con alta compromissione neurologica). Sommare i letti prevalentemente riabilitativi e lungodegenziali di Eremo e Auxologico ai letti di un ospedale pubblico generalista come il Castelli equivale a sommare pere a patate: insomma, un’operazione imbarazzante per giustificare un’inesistente sovradimensionamento ospedaliero del cosiddetto sud-est, cavallo di Troia per fondare la legittimità di un nuovo ospedale a Domo. La seconda condizione muove dal riconoscimento – di evidente sapore risarcitorio – al Castelli di un “polo multispecialistico d’eccellenza” dotato di 125 letti, Ma all’affermazione non segue né l’illustrazione delle ragioni della scelta, né la presentazione dei contenuti specifici del polo multispecialistico, né la sua compatibilità con un ospedaletto da cento posti o poco più.

In ultima analisi, si può motivatamente sostenere che siamo di fronte a un testo inconsistente, inutile al dibattito sulla dislocazione della rete ospedaliera e precostituito al sostegno della soluzione politica sposata nel 2019 dal duo Cirio-Preioni, come potrà ben vedere chi vorrà prenderne visione integrale (leggi qui).

Il nuovo ospedale unico, che tra il 2015 (sulla collina di Ornavasso per la Giunta Chiamparino) e il 2019 (alle Nosere di Domo per la Giunta Cirio) sembrava l’unica soluzione in grado di tenere insieme gli obiettivi della riduzione dei costi, della razionalizzazione delle prestazioni, dell’attrattività per medici di valore e dell’ammodernamento delle strumentazioni diagnostiche e terapeutiche, è ora un’eventualità che sfuma nelle nebbie di un indistinto futuro, radicalmente indebolita dall’effetto combinato del vero e proprio “cambio di paradigma” in materia di assistenza sanitaria imposto dalla pandemia di Covid 19 (leggi qui, qui e qui) e della infinita e irrisolvibile querelle campanilistica sulla sua localizzazione. Sull’onda dei rinati comitati per la difesa del Castelli (meglio: per il ripristino della sua operatività pre-covid), le forze politiche hanno silenziato le loro posizioni sull’ipotesi “nuovo ospedale unico e baricentrico” e ciascuna di esse gioca la partita all’interno della cinta daziaria del Comune, levando alto il proprio totem: a Verbania è “l’operatività pre-covid” del Castelli; a Domo il nuovo ospedale “polo multispecialistico di capacità (e che vorrà mai dire?) disegnato dal Piano Ires; a Omegna il mantenimento consolidato dei 116 posti-letto del COQ.

Che piaccia o meno, l’ipotesi del nuovo ospedale unico e baricentrico è oggi inattuale e non ha la forza per rovesciare le ragioni dell’effetto combinato richiamato nel paragrafo precedente. Quando saranno state pienamente comprese le implicazioni in materia di programmazione sanitaria e ospedaliera del “cambio di paradigma” imposto dalla pandemia e neutralizzati i condizionamenti delle derive localistico-campanilistiche del Vco, l’idea di un nuovo ospedale unico potrebbe tornare ad avere corso nel dibattito politico provinciale.

_________________________

E’ tempo invece di dedicare qualche parola a una questione colpevolmente trascurata nell’ultimo decennio, ovvero il livello di attuazione del cosiddetto Ospedale unico plurisede. Questo progetto, ambizioso e complesso, fu elaborato tra il 2006 e il 2007 in un proficuo confronto dialettico tra Regione Piemonte, Asl del Vco e Rappresentanza dei Sindaci, con tre obiettivi dichiarati: superare le criticità organizzative, prestazionali ed economiche rappresentate dalla presenza di reparti “doppione” negli ospedali d Verbania e Domo; razionalizzare le prestazioni sanitarie secondo il criterio della cosiddetta intensità di cure (alta, media, bassa); stabilizzare a Omegna un importante presidio ospedaliero attraverso il Centro Ortopedico di Quadrante (COQ) a gestione privata e convenzionata.

Chi volesse rinfrescarsi la memoria in argomento, può leggere qui. In estrema sintesi, questo era il modello:

1) conservazione e ammodernamento strutturale e tecnologico dei presidi del “Castelli” e del “San Biagio”, integrati con quella che allora era la sperimentazione del Centro Ortopedico di Quadrante;

2) intervento nelle due sedi ospedaliere di Verbania e Domo delle équipes medico-chirurgiche assegnate al Plurisede per tutte le prestazioni programmabili, integrando le èquipes e eliminando il concetto stesso di “doppione” di reparto;

3)  presenza in entrambe le sedi di un Dea di 1° livello e di un numero congruo di letti di terapia intensiva, anche coronarica;

4) mantenimento delle attività sanitarie caratterizzate dalla presenza indispensabile di strumentazione complessa (ad esempio, il materno-infantile, la stroke unit, la terapia oncologica…) in una delle due sedi ospedaliere;

5) effettuazione delle prestazioni chirurgiche programmabili di Ortopedia presso il COQ di Omegna.

Oggi, a una quindicina d’anni dall’avvio del progetto “Plurisede”, la situazione dei Reparti con degenza (ordinaria, day hospital o surgery) è quella che sinteticamente riepiloghiamo e che può essere verificata direttamente sul sito dell’Asl e su quello del Coq, naturalmente al netto degli sconvolgimenti transitori imposti alle due strutture ospedaliere dalla pandemia nell’ultimo anno e in fase di auspicabile e rapido riassorbimento:

1) corrispondono pienamente al modello del Plurisede (staff medico unico e operativo in entrambi ospedali, con un solo direttore/primario) i reparti di Anestesia e Rianimazione, del DEA, di Cardiologia e di Ostetricia/Ginecologia, mentre la Chirurgia generale ha un solo direttore/primario, ma staff distinti per i due ospedali;

2) sono invece operativi al solo Castelli i reparti di Nefrologia, Oncologia, Pediatria e Psichiatria, mentre esclusivamente al San Biagio operano i reparti di Neurologia, Oculistica, Otorinolaringoiatria e Urologia, oltre al Day Surgery chirurgico;

3) non corrispondono al modello Plurisede i reparti di Medicina generale e di Ortopedia e Traumatologia, che operano con staff diversi e diversi direttori/primari nei due ospedali: si tratta a tutti gli effetti di “doppioni”, se non addirittura di “triploni”, vista la presenza di entrambe le specialità al Coq di Omegna.

Ad accrescere la complessità (e la confusione) della rete ospedaliera del Vco contribuisce appunto il Coq di Omegna che, nato come ospedale ortopedico per interventi di elezione programmabili, ha gradualmente ampliato la sua sfera d’azione in molti casi sovrapponendosi all’Ospedale Plurisede (e talvolta sostituendolo). Il Coq garantisce infatti prestazioni a degenza ordinaria di Ortopedia e di Medicina generale (i “triploni”), oltre a una variegata e strategica offerta di prestazioni chirurgiche in day surgery programmato (ortopedia, chirurgia maxillo-facciale, chirurgia generale e vascolare, dermatologia, oculistica).

____________________________________

Mettere mano a un quadro così articolato e disarmonico dovrebbe essere compito della politica, magari con un buon supporto di tecnici. Ma la politica nel Vco latita su molti fronti e questo artigianale laboratorio di analisi e di proposta non ha né la forza né l’ambizione di surrogarla. Eppure, in attesa che si materializzi il sol dell’avvenire rappresentato dal nuovo ospedale (unico o meno, baricentrico o meno), qualcosa si potrebbe fare: ad esempio, riportare all’interno del modello Plurisede i reparti che ne sono o del tutto fuori (cfr. punto 3) o decisamente lontani, come le specialità medico-chirurgiche indicate al punto 2 (Urologia, Oculistica, Otorino ed eventualmente Nefrologia) per le quali dovrebbe essere considerata non solo normale, ma addirittura auspicabile un’operatività programmata su entrambi gli ospedali. Ma forse merita una riflessione anche la presenza di tre (tre!!) Ortopedie e tre (tre!!) Medicine in un territorio di 150.000 abitanti, magari distinguendo tra la necessità di assicurare nelle retrovie dei due Dea una buona Traumatologia d’urgenza e quella di avere addirittura tre ospedali in cui è possibile fare Ortopedia d’elezione, quando la nascita del COQ esprimeva la razionale esigenza di concentrare questo tipo di interventi in una sola struttura ben attrezzata e con un’elevata – e per questo motivo rassicurante – casistica. Da ultimo, la costante espansione delle prestazioni chirurgiche convenzionate in day surgery del COQ dovrebbe suggerire qualche riflessione ai responsabili dell’Asl, visto che l’ospedale pubblico dispone di un solo servizio di questo tipo e solo per la “bassa intensità” di cure allocato al San Biagio: siamo solo noi a pensare che la pratica del day surgery chirurgico rappresenterà negli anni a venire un segmento sempre più cospicuo e interessante della chirurgia generale?

Concludiamo qui questo articolo certamente lungo, forse ragionato e – crediamo – almeno sufficientemente documentato. Ci sostiene in questo sforzo la memoria della nostra ormai antica militanza politica e amministrativa, in tempi in cui la politica non aveva timore di “compromettersi” con tutto ciò che Giorgio La Pira nei primi anni ’50 chiamava “le attese della povera gente” e non si nascondeva dietro i totem della competenza, della “tecnicalità”, della professionalità. La politica ha il compito ineludibile di assumere queste “attese” e il dovere di trovare risposte adeguate mobilitando le competenze, le conoscenze e le professionalità, per farne poi sintesi intellettuale e morale.

Per assumersi cioè sino in fondo le proprie responsabilità, non per farsene schermo.

Questa voce è stata pubblicata in Sanità e Politiche Sociali. Contrassegna il permalink.

4 risposte a RAGIONARE POLITICAMENTE: DI SANITA’, DI OSPEDALI NUOVI, UNICI O PLURISEDE. E DELLE “ATTESE DELLA POVERA GENTE”

  1. roberto negroni scrive:

    Dato quello che merita al vacuo e imbarazzante compitino dell’IRES, un ente per ben altro conosciuto, condivido qui il nocciolo di questo intervento.
    A) L’ospedale unico sarebbe stata forse una soluzione ottimale, ma la sua praticabilità cozza contro l’oggettiva complessità del territorio ed è paralizzata dal localismo irragionevole, sordo ad analisi razionali del problema e a condivisioni di progetto, strumentalizzato da una “politica” che ha gettato anche la sanità nel mercato elettorale.
    B) Dopo la traumatica esperienza del covid19, è ragionevole pensare che la questione potrà essere seriamente affrontata solo “quando saranno state pienamente comprese le implicazioni in materia di programmazione sanitaria e ospedaliera del ‘cambio di paradigma’ imposto dalla pandemia”.
    L’ipotesi rivisitata di un ospedale unico plurisede appare oggi la direzione percorribile.

  2. massimo bocci scrive:

    caro claudio,
    la tua analisi è come sempre lucida e – in astratto – anche condivisibile. Rimane però un aspetto che non viene verificato ed è quello dei costi che rispetto alla scelta ospedale unico ospedale multisede .. sono dirimenti .. provo a spiegarmi . siamo in grado di quantificare quali siano i costi di due ospedali gemelli ? perchè oggi abbiamo un’idea di quello che potremmo avere con i fondi già stanziati al livello nazionale ( inail ecc. 9) che però sono destinati all’ospedale unico … non altrettanto sappiamo dove reperire i fondi per questa soluzione plurisede che ( in ipotesi ) potrebbe anche essere valutata. la sanità dopo il covid peraltro non è solo ospedali ma case della salute medicina territoriale medici di base … quindi io credo che una politica saggia – invece dell’ignobile situazione a cui stiamo assistendo in questi giorni ( con dettagli che sarebbero da operetta se non fossero da tragedia ) orchestrata mirabilmente da quelli che tu citavi – metterebbe tutto questo sul piatto … io in questa situazione continuo a ritenere che la soluzione migliore – all’interno del quadro che ho descritto – anche in forza di fondi che già abbiamo sia l’ospedale unico ma solo gli stupidi non cambiano idea quindi ben venga un dibattito serio e corroborato da cifre e numeri. E’ comunque sempre un piacere leggerti. massimo

    • Redazione scrive:

      Ciao Massimo, chioso brevemente il tuo contributo:
      1) il plurisede nasce proprio per eliminare la “gemellarità ospedaliera”, ovvero i “doppioni” e i “triploni” di reparto, mantenendo le sedi territoriali esistenti e razionalizzando le prestazioni sanitarie mediante gli staff medici unici che operano nei due ospedali, cosa che oggi avviene solo parzialmente come abbiamo puntualmente documentato;
      2) l’ospedale unico e nuovo potrà in futuro anche essere realizzato una volta sciolti i due nodi da noi indicati (implicazioni del cambio di paradigma imposto dal covid e individuazione definitiva di una razionale localizzazione), ma nel frattempo – cioè per molti e molti anni – dovrà funzionare, grazie alle risorse aggiuntive per la sanità pubblica, un plurisede organizzato come Dio comanda…..e Dio comanda che si faccia come indicato da VB2030!!

  3. Piergiorgio Menotti scrive:

    La citazione conclusiva di questa pregevole focalizzazione dello “stato dell’arte” degli Ospedali del VCO, di cui non possiamo che esserne grati all’autore, di Giorgio La Pira che più di cinquant’anni fà parlava delle “attese della povera gente”, mi suggerisce, non avendo personali competenze relative al servizio sanitario e professionalità per analisi sociali, di richiamare l’attenzione sulla categoria socio-politica di bene comune, oggi purtroppo abbondantemente disattesa dagli addetti ai lavori.
    Siamo quotidianamente spettatori di una politica ridotta a difesa di interessi corporativi e in funzione di scadenze elettorali, distratta dalla individuazione delle urgenze esigite dalla ricerca attuativa di progetti e modalità del bene comune nelle diverse situazioni ambientali e attuali, soprattutto a sostegno della categorie più disagiate della cittadinanza.
    E’ perciò auspicabile la ricerca di un confronto pacato, anche tra posizioni diverse, e la creazione di spazi adeguati per individuare la risposta ai bisogni della Sanità in un territorio tripolare, purtroppo tuttora contrapposto e che la fondazione trent’anni fà della Provincia non ha ovviato, quale è il VCO. E’ in gioco la causa del cittadino povero di Falmenta come quello di Verbania o di Formazza o di Domodossola che ha diritto ad essere ugualmente e congruamente tutelato riguardo alla propria salute.

Lascia un commento