UNA SERATA SUI FIUMI…E UN RACCONTINO

Nel corso dell’intenso e partecipato dibattito organizzato da Europa Verde e AmbienteVerbania è stato esaurientemente presentato e analizzato il progetto di riqualificazione complessiva delle sponde del torrente San Giovanni comprese entro i confini del Comune di Verbania, facendo puntuale riferimento alle caratteristiche idro-morfologiche, vegetazionali ed ecosistemiche del corso d’acqua intraschino. I nostri lettori possono prendere visione delle relazioni predisposte e illustrate durante la serata dall’ing. Marzia Ciampittiello del CNR (qui) e dall’agronomo Fabrizio Breganni (qui), mentre le linee generali dell’intero progetto di riqualificazione e fruizione dell’asta fluviale sono già state pubblicate qui.

Con l’appuntamento del 26 febbraio AmbienteVerbania ha idealmente chiuso il lavoro di progettazione relativo alla riqualificazione fruitiva del torrente San Giovanni, la cui progressiva realizzazione è affidata al ciclo amministrativo che si avvierà dopo le elezioni di giugno. Ora, se le condizioni politiche lo consentiranno, è necessario mettere mano a un analogo sforzo di progettazione per la ben più complessa asta del San Bernardino, il cui primo tratto a risalire (dalla foce al ponte del Plusc) reclama una riqualificazione che non può prescindere dalla valorizzazione e dalla reciproca integrazione dei contesti urbanistici della Sassonia in sponda sinistra e del grande “polmone verde” dell’ex Acetati in sponda destra, i cui capisaldi già si possono rintracciare in questo contributo di qualche settimana fa.

La centralità della frazione “popolare” di Possaccio nel nostro progetto di riqualificazione delle sponde del San Giovanni ci ha suggerito di proporre – a chi avrà voglia e tempo di leggerla – questa sapida, piacevole e limpida scrittura uscita dall’elegante penna (digitale, ovviamente) di DIEGO BRIGNOLI, possaccese doc, che ripropone in forma narrativa uno scambio di mail originato dalla subitanea formazione – proprio tre anni fa in questi giorni – di un “lago effimero” tra le ripide forre del torrente nel “salto” tra Cambiasca e Verbania. Insomma, una Possaccio torrentizia e “balneare” di mezzo secolo fa!

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All’inizio di febbraio del 2021 sul torrente San Giovanni, tra Possaccio e Cambiasca cade una frana che ne ostruisce il corso formando un laghetto effimero. Per qualche giorno è tutto uno svolazzare di droni e di elicotteri e un via vai di geologi ed esperti vari. Conosco bene quei luoghi, meta delle giornate estive di quando ero ragazzino. Italo [Isoli], il mio geologo di fiducia, coglie l’occasione per ricordare un paio di eventi simili avvenuti in passato. Questo il suo racconto.

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La frana caduta dalla sponda destra del torrente S, Giovanni, appena a monte del  ponte di Possaccio in un tratto caratterizzato da una profonda forra, ha iniziato a formare un lago a monte dello sbarramento. Sono in corso verifiche per valutare possibili pericoli relativi sia ad ulteriori frane per evoluzione dello stesso ciglio sia per la stabilità dello stesso sbarramento sotto l’azione dell’acqua, soprattutto in condizioni di piena. E’ probabile che lo sbarramento, costituito da blocchi rocciosi di grosse dimensioni, rimarrà in posto e le fessure si intaseranno sino a determinare una tracimazione dell’acqua sopra il deposito, con relativa bella cascata  e un conseguente innalzamento e ampliamento del lago a monte, probabilmente anche di interesse per balneazione locale. Il fenomeno rientra in una tipologia geologicamente conosciuta che prende il nome tecnico di “lago di sbarramento per frana”. Famosissima geologicamente la frana che ha dato origine al lago di Antrona la cui descrizione vi allego qui sotto.

Il 27 luglio 1642 un’enorme frana staccatasi dalle pendici del monte Pozzuoli rovinò su tutto il pianoro sottostante investendo anche una parte delle case dei cantoni di Grognasca e delle Case, seppellendo senza alcuna possibilità di fuga 95 abitanti, sorpresi nel sonno e incapaci di sfuggire a tanta violenza. Lo sbarramento della valle chiuse la via al passaggio delle acque del Troncone che a monte della massa franata si allargò in un lago, ora detto lago di Antrona. Passato il primo sgomento gli Antronesi si ripresero senza aiuti esterni e con tenacia cercarono di sopravvivere in un paese tanto sfortunato. Alcuni, ridotti in povertà dalla crisi che seguì, emigrarono in altre regioni. (Dati della frana: circa 20 milioni di mc. su una superficie di circa 375.000 mq.). Dal 1926 il lago è utilizzato come riserva per la sottostante centrale di Rovesca. La frana sollevò una nube di polvere che sostò per oltre una settimana oscurando il sole; la sua scomparsa  fu dovuta solo a forti venti che si originarono nei giorni successivi e che la trasportarono fin sopra Mergozzo.”

Più recente, si fa per dire (1987), la frana della Val Pola in Valtellina, che produsse a sua volta un lago e di cui anche in questo caso vi allego la descrizione.

Nelle prime ore del 28 luglio, dal monte Zandila in Val Pola sito in destra idrografica pochi chilometri a valle di Bormio, si staccò una frana del volume di circa 30 milioni di m3 che occluse il corso dell’Adda creando un lago della capacità di circa 20 milioni di m3. Furono sommersi dall’accumulo di detriti gli abitati di Morignone e S. Antonio Morignone per fortuna senza perdite di vite umane grazie all’intervento di Michele Presbitero, allora direttore del Servizio Geologico della Lombardia  che ne ordinò lo sgombero intuendo quello che poi si sarebbe verificato. La presenza di un lago di così grande volume, sostenuto da una diga naturale alta un centinaio di metri, provocò grande panico nelle popolazioni, consapevoli dei rischi che correva la valle se questa diga fosse crollata. Quando si iniziò ad esaminare i gravi problemi che incombevano nella valle si presentarono alla memoria di chi si trovava sul posto i tanti disastri provocati dal crollo di dighe.

L’esperienza vissuta dalla Commissione, battezzata poi “Commissione Valtellina”, è stata straordinaria, sia per l’assoluta novità delle situazioni che si trovò a dover affrontare specie nei momenti in cui si scontravano vedute o interessi contrastanti: come ad esempio accadde quando si accese una violenta polemica che coinvolse coloro che erano favorevoli alla tracimazione forzata dell’accumulo e quelli che ne erano contrari.

Gli interventi decisi dalla cosiddetta Commissione Valtellina e messi in atto in pochi giorni per controllare le situazioni di rischio sono risultati determinanti per la messa in sicurezza dei territori della Valtellina. Tra questi interventi, a cui  ho avuto l’opportunità di partecipare, ci fu quello di  vuotare il lago prima che si compisse il suo riempimento onde evitare i rischi derivanti dalla tracimazione dell’accumulo e della caduta nel lago di una nuova frana. Questo obbiettivo fu ottenuto attraverso la costruzione di una galleria by-pass per mettere in sicurezza idraulica la zona fino al momento in cui si sarebbe progettata ed attuata la definitiva sistemazione dell’area colpita dalla frana. Non avevo ancora  50 anni, ovviamente per quanto riguarda la Val Pola.

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Claudio [Zanotti] è un po’ la memoria storica del nostro gruppetto. Profondo conoscitore delle vicende politiche della nostra città e dell’intero Paese è pure una gran bella e arguta penna e non si lascia sfuggire l’occasione per un suo intervento:

Bella la doppia rievocazione di Italo, (relativamente) giovane geologo nella val di Pola e forse ancora bimbetto ai tempi della frana in valle Antrona, quando infuriava la guerra dei Trent’Anni. Io ne ho tratto ammaestramento a non compiere escursioni in montagna tra il 27 e il 28 luglio. Ai tempi della val di Pola (marciavo verso i trentuno…) ricordo la straniante presenza in loco del ministro Remo Gaspari, democristianone abruzzese e detentore di cospicuo pacchetto di tessere da far pesare in sede congressuale e ministeriale. Il poveraccio si trovò a sostituire proprio quel giorno il mitico Giuseppe Zamberletti come ministro alla protezione civile nel neocostituito governo Goria e si assunse la responsabilità di dare il via alla tracimazione controllata. Devo dire che gli è andata bene.

Ho seguito con interesse l’episodio franoso del San Giovanni perché qualche settimana fa ho percorso per la prima volta il breve, scalcagnato e un po’ esposto sentierino che, partendo dal retro della casa situata proprio a ridosso del ponte di via Cuboni, risale in sponda dx il torrente e termina sul confine tra i due Comuni. La forra è davvero profonda e scoscesa.

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Non posso competere con le conoscenze di Italo né con l’arguzia di Claudio, ma quei luoghi mi sono oltremodo famigliari, o per lo meno lo erano, e mi tornano alla mente una serie di episodi legati alla mia più giovane età. Mica posso sentirvi parlare di Possaccio senza dire niente! Purtroppo devo risalire parecchio indietro nel tempo, diciamo un mezzo secolo fa o poco più, quando la pozza sotto il ponte di Possaccio era la nostra spiaggia.

Va detto che allora di acqua ce n’era parecchia e lo sbarramento di pietre (la diga!) che ogni anno costruivamo all’inizio della stagione (più o meno maggio) e che le successive buzze (in particolare quella da san Pedar) ci costringevano a ricostruire, contribuiva a mantenere un livello d’acqua sufficiente per giocare a mazzacagneu. Nel caso qualcuno non lo sapesse o se ne fosse dimenticato, si tratta di una gara di tuffi, o meglio di salti in acqua nelle più svariate posture, eseguiti urlando il  nome del tuffatore successivo che doveva eseguire lo stesso “tuffo”. Qualsiasi errore veniva punito con il supplizio del mazzacagneu: afferrati per mani e piedi e lanciati in acqua dopo un volo la cui altezza e lunghezza dipendevano dalla forza dei lanciatori.

La cosa più  interessante di quei pomeriggi estivi erano però le risalite del San Giovanni. A guidare il gruppetto era di solito Oreste detto Orso, un omone dalla forza spaventosa, utilissima nella costruzione delle dighe per formare la nostra piscina;  era ovviamente lui a spostare i massi più grandi. Di qualche anno più grande di noi ma rimasto sempre ragazzino: era sempre lui a guidare il gruppo quando questo era formato da mio fratello e i suoi amici, quindici o vent’anni meno di noi. 

Oggi lo chiamano “torrentismo”, allora era solo “nemm ai sircc?”. Un po’ come il trekking. Vai a dire a un abitante delle nostre valli che quando andava a piedi al  mercato  faceva trekking. Anche l’abbigliamento non era precisamente tecnico. Niente corde, imbraghi, moschettoni, caschi, calzari, tute e guanti;  piedi  nudi, costume da bagno per i più fortunati, mutande (quelle bianche, con l’elastico largo) per quasi tutti. 

Si risaliva  e la prima pozza che si incontrava era il “puzzun dal moro”, grosso modo dove è caduta la frana. Una pozza coperta da un enorme masso staccatosi chissà quando da un fianco della forra e appoggiatosi sull’altro. Due modi per superarlo: nuotare nella breve galleria buia o scalarlo. Sulla sommità “la morte!”, il punto da dove saltare o tuffarsi nella sottostante pozza d’acqua che da lì non si vedeva; un po’ come  i piedi quando  aumenta la pancia. Nonostante il funereo appellativo non ricordo nessun decesso o ferito grave. Ematomi, escoriazioni e qualche punto di sutura al pronto soccorso non rientravano allora tra gli eventi incidentali, non contavano nulla, al massimo qualche scappellotto quando rientravi la sera.

Più pericoloso certo il sentiero che Claudio ha recentemente affrontato con grande sprezzo del pericolo. Ho un vago ricordo di una persona e una mucca caduti di sotto. In tempi diversi. Ricordo bene la mucca perché l’odore della carcassa in putrefazione impedì per qualche giorno la balneabilità della nostra spiaggia. Non per intervento della competente ASL ma perché puzzava davvero. Il decesso umano invece, se ben ricordo, fu presto archiviato con “u sarà stai ciucc”.

Superato il puzzun si entrava in territorio cambiaschese nelle due spiagge (si fa per dire) della ridente località collinare, sircc e sircin.  Purtroppo da quelle parti noi di Possaccio non eravamo molto ben visti, forse perché i luoghi erano frequentati da qualche ragazza di cui i cambiaschesi andavano gelosi ed orgogliosi. Va detto che a Cambiasca, terra di emigrazione,  in estate arrivava qualche ragazza di Milano in vacanza dai nonni. A Possaccio, terra di immigrazione a causa della cartiera, solo qualche rarissima ragazzina di Spinazzola, Rionero in Vulture o Ripacandida; la Lega Nord era di là a venire ma i sonni di mamme e papà erano agitati dalla paura da cui veniva l’ammonimento del “riva mia in ca’ cun ‘na quai terùna!”. 

Dai sircc si sloggiava presto, destinazione “salun” (con la u, non con due o) il salone:  un’ampia, si  fa sempre per dire, pozza di acqua gelida chiusa tra due pareti scoscese, un luogo un po’ inquietante dalla natura selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura. (chiedo il supporto di Claudio: ricordo male o il sommo poeta non andava d’accordo con le doppie?). 

Nessuno aveva l’orologio ma si sapeva che arrivati lì il pomeriggio stava per finire e occorreva tornare al ponte prima che arrivassero i grandi, quelli che al fiume venivano a lavarsi dopo il lavoro  e per noi “narigiatt” (il traguardo dell’uscita dalla fanciullezza si spostava in continuazione e nemmeno l’agognato vespino tanto atteso ti permetteva l’ingresso nel  mondo dei grandi) non c’era più posto.

Questo accadeva in quei di Possaccio e dintorni mezzo secolo fa. Oggi leggo di esperti inviati dalla Regione, droni, elicotteri … mentre a Cambiasca sperano di lanciarsi nel ghiotto business del turismo balneare  del nuovo lago effimero. Chissà, magari tornano le ex ragazzine milanesi. 

Oreste invece se n’è andato. Pochi giorni fa. Ciao Orso, non ti preoccupare, non c’è bisogno della diga, ci ha pensato la frana a formare il laghetto. Purtroppo più a monte.

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